giovedì 4 maggio 2023

In dismissione

 

La marcia sulla Rai e l’incredibile scoop del Signor Meloni
di Silvia Truzzi
Ieri, 3 maggio, era la giornata mondiale della libertà di stampa (domani, per dire, sarà quella dell’igiene delle mani). Come sta l’Italia? Malissimo: l’indice Wpfi (World press freedom index), elaborato da Reporters senza frontiere, a ’sto giro ci colloca al 58esimo posto su 180 Paesi presi in esame. Dal precedente biennio 2020-21 abbiamo perso 17 posizioni, peggio di Giamaica (12), Costa d’Avorio (37), Taiwan (28), Gambia (50), Romania (56). Le cause: minacce del crimine organizzato, polarizzazione violenta del dibattito (guerra, pandemia), mancanza di tutela giuridica (denunce per diffamazione e richieste di danni milionari a pioggia) e aggiungiamo noi, editori che hanno altri, prevalenti, interessi (economici e politici). Ma del resto siamo il Belpaese della Commissione di Vigilanza Rai, l’unico tra le supposte democrazie mature in cui la politica controlla l’informazione e non il contrario. Una situazione che a parole tutti deprecano o fingono di e nessuno che ci abbia mai messo mano. Gli ex camerati al governo si apprestano proprio in queste ore a organizzare la marcia su Viale Mazzini, per invertire la “narrazione del Paese” (pardon, Nazione). A parte le sciocchezze blaterate da ministri e sottosegretari sull’egemonia culturale della sinistra, basta avere il telecomando per sapere che la musica è già cambiata: e non dalle elezioni, da quando si è capito che i sondaggi non sbagliavano e la destra avrebbe governato.
E’ così vero che dal palco del Primo maggio il professor Carlo Rovelli non può dire (oltre che la verità) quello che pensa su guerra, guerrafondai e signori delle armi, pena ramanzina di Ambra Angiolini (o tempora o mores) sul “contraddittorio”. Per fortuna l’informazione televisiva non è appannaggio della Rai. C’è anche Mediaset, e pazienza se il padrone è il leader di uno dei partiti di maggioranza: sono più di trent’anni che tutti, da destra a sinistra ma soprattutto a sinistra, fanno finta di non vedere. Per chi non avesse buona memoria, il prossimo aspirante inquilino del Colle lo confessò in aula, all’alba del millennio: “L’onorevole Berlusconi sa per certo che gli è stata data la garanzia piena – non adesso, nel 1994, quando ci fu il cambio di governo – che non sarebbero state toccate le televisioni” (Luciano Violante). E dunque, come raccontato sul nostro giornale di ieri, mentre i Tg del servizietto pubblico facevano da cassa di risonanza alla bugia del “taglio delle tasse sul lavoro più importante degli ultimi decenni”, sulla Rete 4 di Papi andava in onda la striscia quotidiana Diario del giorno, condotta da Andrea Giambruno (incidenter tantum, compagno della premier e padre di sua figlia): “Anche quest’oggi, primo maggio, lavoriamo, come tutti quanti voi, o meglio come qualcuno di voi. C’è stata non poca polemica, perché i sindacati in qualche modo si sono anche un po’ stizziti perché ieri sono stati convocati dal presidente del Consiglio in quel di Palazzo Chigi. Non si capisce bene il motivo per il quale quest’oggi alcuni dovrebbero lavorare e qualcun altro invece dovrebbe riposare”. In realtà essendo la festa del lavoro, si dovrebbe onorarla proprio non lavorando, ma che volete? In qualunque famiglia si cerca di far coincidere i giorni di riposo per stare un po’ insieme. Il conduttore del Diario del giorno, forse grazie alla sua intimità con il first gentleman, ha pure regalato uno scoop ai suoi telespettatori: “Saremo in grado di fornirvi noi, in anteprima, quelle che sono le primissime parole del presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, in seguito al Consiglio dei ministri. E allora aspettate, perché ve la diamo noi, prima degli altri”. Ve la diamo noi la libertà di informazione!

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