lunedì 24 aprile 2023

Tomaso e la dilapidatrice

 

Venere social, pizza, banalità: un trash degno del Billionaire
LA CAMPAGNA CAFONA DI SANTANCHÉ - “Open to Meraviglia”. Il titolo “inglesato”, la grafica da fumetto porno, i monumenti ridotti a location: un’immagine che sta alla realtà come il parmesan al parmigiano
DI TOMASO MONTANARI
Nove milioni di euro. Quanti precari del patrimonio culturale ci si potrebbero assumere? Quanti documenti antichi dei nostri archivi di Stato restaurare? Quante chiese curare, e riaprire? Quanti piccoli musei riallestire? E invece no. La Repubblica butta nove milioni delle nostre sudatissime tasse in una oscena campagna pubblicitaria che dovrebbe vendere ciò che si vende fin troppo bene da sola: l’Italia come meta turistica!
La ministra Santanché annunzia gioconda alle tv che vorrebbe vedere il turismo ascendere al rango di prima industria italiana: senza nemmeno immaginare cosa questo significherebbe in termini di sostenibilità, e di declino di un Paese ridotto a grande villaggio turistico. Vorrebbe dire essere comprati a pezzi da fondi stranieri, perdere quel poco di influenza internazionale, assomigliare sempre di più all’immagine che dei romani aveva James Joyce: quella di un nipote neghittoso e inetto che campa facendo vedere ai turisti il cadavere imbalsamato della nonna.
In quanto a grottesco sciacallaggio del passato siamo già un pezzo avanti, del resto. E lo dimostra proprio la campagna pubblicitaria partorita da Santanchè, grottesca fino dal titolo: Open to Meraviglia. La linea è quella – altissima – del Verybello di Dario Franceschini (altra campagna mangiasoldi finita nel nulla e nel ridicolo): e del resto i grandi spiriti si incontrano. Ma qua si fa un ulteriore passo avanti: gli italiani ridotti a ciceroni per la mancia dei turisti si incarnano in una simpatica bionda trentenne, ora in minigonna, ora in canotta da gondoliera, ora in completo da hostess.
E la bionda altri non è che la povera Venere di Sandro Botticelli: ma liftata e pittata come una sciantosa. Nella testa dei ‘creativi’ pagati a caro prezzo con le nostre tasse, il celebre servizio fotografico di Chiara Ferragni agli Uffizi proprio di fronte a quel feticcio deve aver acceso una fantastica lampadina: è così Venere è diventata direttamente un’influencer, che vende al mondo… la propria Patria (direbbero i patriottici committenti)! Vista la fede nera più volte ostentata da Santanché, sarebbe tentante vedere in questa scelta una memoria dell’uso che della Venere fece Mussolini nel 1930, intorno a una grande mostra d’arte italiana a Londra che doveva esibire al mondo anglosassone “l’eterna vitalità della razza italica”. Il saggio che lo storico Francis Haskell dedica all’episodio verrebbe in effetti utile fin dal titolo: Botticelli al servizio del fascismo! Ma la triste verità è che rispetto al personale che muoveva, un secolo fa, la macchina da propaganda fascista, gli attuali nipotini sono di una ignoranza così crassa e barbarica che solo a suggerire il paragone l’animaccia nera di Giuseppe Bottai si rivolta nella tomba. No, qua il fascismo non c’entra nulla: c’entra la totale inconsapevolezza di cosa siano quella patria e quella nazione che questa destra cita a ripetizione senza saperne un accidenti di nulla. Il titolo inglesato (come la mettiamo col camerata Rampelli?), la grafica da fumetto porno, la banalità assoluta dei testi e delle immagini, i monumenti ridotti a location, i “borghi suggestivi” (letterale), la pizza e (manca poco) il mandolino: il vero paradigma culturale è Las Vegas. Un mostruoso centone dell’Italia, un luna park, un tarocco cinese per americani: un’immagine dell’Italia che sta a quella vera come il parmesan sta al parmigiano reggiano.
E qui il problema è serio: perché vuol dire che abbiamo a tal punto introiettato l’immagine dell’Italia venduta e comprata nel mercato globale, abbiamo a tal punto fatto nostra la retorica della pizza e del sole, ci siamo così adagiati nella celebrazione della nostra ‘grande bellezza’, che ormai ci guardiamo anche noi con gli occhi di chi non sa cosa sia davvero l’Italia. A vederla, mi è venuto in mente un certo ristorante italiano di Fort Worth, in Texas, nel quale, dopo una cena efferata, la vecchia madre del proprietario veniva in sala a cantare arie d’opera: per la gioia dei texani che, estasiati, pensavano di stare a Sorrento. La cifra complessiva che caratterizza questa campagna pubblicitaria è, insomma, la cafonaggine: un cattivo gusto travolgente. Ma non un trash felice, leggero e autoironico, no. Invece, una retorica greve e bolsa: da nuovo ricco ignorante, da milionario saudita o da oligarca russo. Da Billionaire, non per caso.
La classe dirigente che violenta in questo modo vergognoso la Venere di Sandro Botticelli è la stessa che ciancia a ripetizione di ‘nuovi Rinascimenti’, la stessa che si straccia le vesti di fronte ai ragazzi di Ultima generazione che usano le opere d’arte del passato come cose vive e provocanti, e non come Barbie animate: questa campagna è un monumentale danno erariale, ma almeno serve benissimo a farci capire chi ci governa. Ogni volta che ci toccherà vedere la Venere-influencer, ricordiamocene: chissà che alla fine non troviamo il coraggio di dire basta.

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