venerdì 7 aprile 2023

O Fernando!

 

Una sola cosa mi meraviglia più della stupidità con la quale la maggior parte degli uomini vive la sua vita: l’intelligenza che c’è in questa stupidità.
La monotonia delle vite comuni è apparentemente terribile. Sto pranzando in questo dozzinale ristorante e guardo, oltre il banco, la figura del cuoco e, vicino a me, il vecchio cameriere che mi serve come, da trent’anni credo, serve in questa trattoria. Che vita è la vita di questi uomini? Da quarant’anni quell’uomo passa quasi tutta la giornata in una cucina; gli sono consentite brevi pause; dorme poche ore; ogni tanto torna al suo paesino, dal quale rientra senza esitazione e senza dispiacere; mette da parte lentamente denaro lento che non intente spendere; si ammalerebbe se dovesse lasciare definitivamente la sua cucina per i campi che ha comprato in Galizia; sta a Lisbona da quarant’anni e non è mai stato alla Rotonda né a un teatro; solo una volta al Coliseu: pagliacci nelle riposte vestigia della sua vita. Ignoro con chi si è sposato e perché, ha quattro figli e una figlia, e il suo sorriso nel chinarsi dall’altra parte del banco esprime una grande, solenne, soddisfatta felicità. Egli non simula e non ha motivo di simulare. Se sente questa felicità significa che ce l’ha davvero.
E il vecchio cameriere che mi serve e ha appena posato davanti a me quello che dev’essere il milionesimo caffè dell’atto di posare un caffè sui tavoli? Conduce la stessa vita del cuoco, a soli quattro o cinque metri di distanza: quei metri che separano colui che si muove nella cucina da colui che sta nella sala da pranzo della trattoria. Per il resto, ha solo due figli, va più spesso in Galizia, ha visto più Lisbona dell’altro e conosce Oporto dove ha vissuto per quattro anni - ed è ugualmente felice.
Rivedo, con un meraviglia sgomenta, il panorama di queste vite e, nel provare spavento e pena e sdegno, mi accorgo che non provano spavento né pena né sdegno proprio coloro che ne avrebbero tutto il diritto: coloro che vivono quella vita. É questo l’errore centrale dell’immaginazione letteraria: essa suppone che gli altri sono noi e che devono sentire come noi. Ma, per fortuna dell’umanità, ogni uomo è soltanto chi è, e al genio è concesso soltanto di essere qualche persona in più.

Dopotutto ogni cosa ci viene data in relazione a ciò che diamo. Un piccolo incidente stradale che richiama sulla porta il cuoco di questa trattoria riesce a intrattenerlo più di quanto non mi trattenga la contemplazione di un originalissima idea, la lettura del miglior libro, il più grato dei sogni inutili. E, se la vita è essenzialmente monotonia, in realtà quell’uomo è scampato alla monotonia più di me. E continua a sfuggire alla monotonia più facilmente di me. La verità non è sua e non è mia perché la verità non è di nessuno; ma la felicità è sicuramente sua.
Il saggio è colui che riesce a rendere monotona l’esistenza, poiché allora ogni piccolo incidente stradale possiede il privilegio di stupirlo. Il cacciatore di leoni non prova più l’avventura dopo il terzo leone. Per questo cuoco monotono, una rissa nella strada ha sempre qualcosa di una modesta apocalisse.
Chi non ha mai lasciato Lisbona farà un viaggio infinito sul tram che va a Benfica, e se costui un giorno si reca a Sintra ha la sensazione di avere fatto un viaggio fino a Marte. Il viaggiatore che ha percorso il globo, dopo cinquemila miglia non trova novità, trova soltanto delle cose nuove; un’altra volta la novità, la vecchiaia dell’eterno nuovo, ma il concetto astratto di novità è rimasto in mare con la seconda di esse.
Rendere monotona l’esistenza affinché essa non sia monotona. Render anodino il giorno-per-giorno affinché la più piccola cosa sia una distrazione. In mezzo al mio lavoro quotidiano, opaco, uguale e inutile, mi appaiono visioni di fuga, immagini sognate di isole lontane, feste in viali di parchi d’altri tempi altri paesaggi, altri sentimenti, altri io. Ma riconosco, fra le due scritture contabili, che se avessi tutto questo, niente di questo sarebbe mio. In verità, il signor Vasquez è meglio dei Re di Sogno; in verità, meglio l’ufficio di Rua dos Douradores dei grandi viali dei parchi impossibili. Tenendomi un signor Vasquez, posso godere il sogno dei Re di Sogno; avendo l’ufficio in Rua dos Douradores posso godere la visione interiore dei paesaggi che non esistono. Ma se avessi i Re di Sogno, cosa mi resterebbe da sognare? Se avessi i paesaggi impossibili, cosa mi resterebbe di impossibile?

La monotonia, l’opaca somiglianza dei medesimi giorni, la mancanza di differenza fra oggi e ieri: che ciò mi rimanga sempre, con l’anima sveglia per divertirmi con la mosca che mi distrae e svolazza a caso davanti ai miei occhi; con la risata che si innalza volubile dalla strada, con il grande senso di liberazione dell’ora di chiusura dell’ufficio, col riposo infinito di un giorno festivo.
Posso immaginare tutto perché non sono niente. Se fossi qualcosa non potrei immaginare. L’aiutante contabile può sognare di essere un imperatore romano; il Re d’Inghilterra non lo può fare perché il Re d’Inghilterra nei suoi sogni non può essere altro se non il re che già è. La sua realtà non gli permette di sentire.
(Fernando Pessoa - Il libro dell’inquietudine)

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