venerdì 9 dicembre 2022

Entriamoci

 

"mizuna rossa; senape crimson; acetosa iron; yerba buena; shiso verde foglia piccola; salicornia..." e io che compro le buste al supermercato e già me pae 'n casin!

Nella cucina di un 3 stelle tra pinzette da chirurgo e insalate con 120 ingredienti «Poi sbirciamo i clienti»
Gli chef e la brigata divisa in cinque gruppi Lo stagista che sogna di preparare i secondi
di Candida Morvillo
Al lavoro La cucina del Piazza Duomo di Alba (Cuneo), ristorante 3 stelle Michelin. A destra lo chef Enrico Crippa (foto Cigliutti)
Mi aspetto urla, parolacce, i commenti caustici dello chef, i coperchi delle pentole da schivare (Gualtiero Marchesi diceva: «Il bullismo è vecchio quanto il mestiere del cuoco: solo che ora la cucina è di moda e tutti ne parlano»). Mi aspetto cose che non troverò, ho visto troppo Masterchef e non sono mai stata nella cucina di un tre stelle. Invece, se ci passi una giornata, capisci che un ristorante col massimo punteggio Michelin è una categoria dello spirito. La prima cosa che colpisce è il silenzio. Senti solo lo sfrigolio dell’olio nelle padelle, il ritmo cadenzato di un coltello che ricava fini stelline da un gambo di cavolo verde. L’uomo col toque blanche sulla testa che crea stelle è lo chef Enrico Crippa. Domando: perché le divide sul piano di lavoro per dimensione? «Perché è diverso il tempo di cottura». Tipo un minuto, piuttosto che un minuto e 10. Ogni gesto, ogni cosa qui dentro, è di una precisione chirurgica. A cena, vedrò per tutta la sera Sofia, 20 anni, «capopartita delle erbe», e Matteo, 24, stagista, comporre ininterrottamente insalate foglia per foglia con pinze da chirurgo. L’«insalata 21,31,41,51...» è uno dei piatti iconici del Piazza Duomo di Alba, può essere composta anpiatto che da 120 foglie, petali e germogli diversi. Sofia fa l’elenco: mizuna rossa; senape crimson; acetosa iron; yerba buena; shiso verde foglia piccola; salicornia... Ora capisco i 40 euro di prezzo. Lei, come tutti nella brigata di cucina, vuole diventare chef: «Dalla porta a vetri che ci divide dall’ingresso, spio i clienti quando escono: mi basta sbirciare un loro sorriso per essere felice».
Tutti ventenni
La seconda cosa che colpisce è che in un tre stelle trovi la più bella gioventù. I più hanno fra i 19 e i 22 anni e hanno già lavorato o fatto stage all’estero in altri ristoranti stellati e si sono specializzati nelle scuole più prestigiose, l’Alma di Colorno, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo... Altro che choosy, altro che bamboccioni. Questi sono alla loro postazione alle otto del mattino, pausa solo se si riesce fra le 16 e le 17, quando ne trovi uno con la testa china sul tavolo e su un libro di cucina che stava studiando, fine servizio a mezzanotte, l’una, dipende. Jacopo Dosio, 27 anni, è già sommelier. Racconta: «Di quelli che studiano, pochi arrivano e sono anni di sacrifici. In Inghilterra, lavoravo 14 ore, dormivo nel letto matrimoniale col cuoco. Quando ho fatto la scuola del barolo, dormivo dai salesiani, dovevo pregare la mattina 30 minuti, la sera 45. Ho sempre fatto gli stage durante le ferie: prendevo la lista dei tre stelle e mandavo il curriculum; su cento, rispondeva uno o nessuno». Ma a furia di mandare mail, l’hanno preso al Waterside Inn a Bray nel Berkshire, da Marc Veyrat a Manigod nell’Alta Savoia, al Vue de Monde a Melbourne... Jacopo continua la lista, conta le stelle: ne ha collezionate 15. In cantina, ci sono diecimila bottiglie. Leggo nomi a caso dalla lista e lui sa dove sono. Dice che ognuno ha 30 informazioni utili e devi capire quali stimolano il cliente. Oggi è felice: grazie ai buoni rapporti coi fornitori si è aggiudicato una rarissima bottiglia del vino più caro della cantina: un Domaine de la Romanée-Conti da 30 mila euro. Uno s’immagina che un cameriere o un cuoco, arrivato in uno dei dodici tre stelle d’Italia, non se ne vada mai più, invece è il contrario: il personale cambia di continuo, perché tutti vogliono fare esperienza in tutti i tre stelle del mondo.
L’Olimpo è qui
La cucina è uno stanzone suddiviso in cinque «partite», nell’ordine: canapè; antipasti; primi e verdure; secondi; erbe. Chi è arruolato nella brigata comincia dai canapè e, se è capace, scala tutte le partite. Dal «basso» dei suoi canapè, uno stagista guarda verso la
partita dei secondi: «Quello è quasi l’Olimpo: vuol dire essere a un passo dal poter diventare chef». Separata da una vetrata, c’è la partita pasticceria e pane, regno di Giulia e Giorgia, che sono le prime ad arrivare per fare il pane e le ultime a uscire, perché il dessert è l’ultima cosa a essere servita. «Per questo è un mestiere all’80 per cento maschile», dicono, «se hai un figlio, come fai?». In un’altra ala, c’è la cucina per brodi e cotture lunghe.
I menu sono tre: Viaggio, Barolo, Tartufo. Sarebbe ingannevole dire «solo tre»: ognuno ha fra le otto e le dieci portate ed è preceduto da una dozzina di diversi canapè, tutti fatti al momento. Non è finita: le pareti di ogni partita sono tappezzati di sostituzioni: sostituzioni per allergie del cliente, sostituzioni per preferenze del cliente, sostituzioni perché non si dà mai lo stesso a un cliente, a meno che non lo richieda. Ogni sera, nella cucina dei bolliti, si fa il briefing sui menu del giorno successivo.
Come alla Cia
Ogni mattina e ogni pomeriggio, in sala, si fa il briefing dei menu del giorno, cliente per cliente. Assistervi è come stare alla Cia. Il restaurant manager Davide Franco sa tutto di tutti: «Teniamo schede su chiunque sia già venuto. Sappiamo se fa pausa sigaretta e adeguiamo i tempi del servizio, se preferisce tisana o caffè, se è l’anniversario, se ama o detesta un piatto, cos’ha mangiato tutte le volte che è stato qui. Stasera, c’è una coppia che si porta sempre i coltelli da casa. E c’è un mancino, dobbiamo apparecchiare al contrario. Una volta, un cliente mi fa: in vent’anni non mi ero mai accorto che mia moglie fosse mancina». Prima di pranzo e cena, Davide ispeziona il personale: controlla che le divise siano perfette, unghie e capelli siano in ordine, che i calzini siano blu. Intorno alle 17, in sala, due ragazzi ristirano le tovaglie direttamente sui tavoli, per togliere ogni minima piega. Sono i due chef de rang, i più alti in grado del servizio in sala: la mise en place è considerata uno dei compiti più importanti.
Enrico Crippa, gavetta con gli stellatissimi Michel Bras, Ferran Adrià, Gualtiero Marchesi, ha creato Piazza Duomo da zero. Fu Carlo Cracco a consigliarlo a Bruno Ceretto, patron della famiglia di vinicoltori che sognava un ristorante stellato nelle Langhe. «Cracco gli aveva detto: è più bravo di me», racconta la figlia Roberta, nuova anima di cantina e cucina. Ricorda lo chef: «Al colloquio, il signor Ceretto mi disse: guardi che dobbiamo prendere tre stelle. Ha capito? Ha capito? Ha capito?». Il ristorante aprì nel 2005, vinse la prima stella il primo anno, la seconda nel 2009, la terza nel 2011. Il mese scorso, ha preso la quarta alla sostenibilità.
Orti misteriosi
Alle sette e mezzo del mattino, lo chef è già nell’orto: tre ettari, due serre, 400 vegetali da tutti i continenti, quattro persone a occuparsene. Lui sceglie le piante da raccogliere come un gemmologo i diamanti. Mi spiega: «La mia cucina esprime quello che ci dà il territorio nella stagione in cui lo dà, racconta cosa c’era qui, le ricette di queste zone,
Officina di sapori
«Certi profumi si sentono solo mentre stai preparando un piatto. È un peccato»
ma tutto vissuto nel 2022». In cucina, fra mille liste misteriose, ce n’è appesa una che elenca nomi, numeri e sigle inesplicabili. Tipo: fiolaro 30; rucola lobata s m 2 c5. È la lista delle verdure già mondate, i numeri stanno per le quantità (30 lobati sono 30 cime di un tipo di broccoli), le sigle indicano la taglia della verdura e la misura dei contenitori, dunque la rucola lobata è in foglie small e medium e sta in contenitori c5 (grandi). Crippa mi guarda severo: «Più preciso si raccoglie nell’orto, meno lavoro serve in cucina». Il primo raccolto arriva alle 8, il secondo alle 11: «Violette, cosmos e altri fiori si aprono col sole alto e non si possono raccogliere prima», spiega.
L’impresa è far uscire tutti i piatti dello stesso tavolo insieme e al momento giusto. Guardo i menu e mi sembra una cosa da pazzi. Ma non è una cosa da pazzi: è peggio, ci sono piatti che passano da quattro partite e vanno pure a comporre all’unisono una portata di dieci ciotole e ciotoline senza che nessuno si parli, come se la brigata comunicasse col pensiero. In più, l’impiattamento è appannaggio esclusivo dei due sous chef, Omar Saba e Umberto Del Nobile. Crippa pensa piatti nuovi a ciclo continuo. Ora, si è appena ispirato a un’opera di Francesco Clemente: il dolce è rosa, azzurro, oro. Mentre lo compone, si blocca: «Sente questo profumo di burro e nocciole? Certi profumi si sentono solo mentre prepari, è un peccato conoscerli solo noi».

Nessun commento:

Posta un commento