sabato 31 dicembre 2022

Così per puntualizzare

 

Perché l’Msi non fu democrazia

DI MIGUEL GOTOR - 
Storico e Assessore alla cultura di Roma

Chi controlla il passato controlla il futuro: chi controlla il presente controlla il passato”, così ha scolpito Orwell nel suo 1984. E chi è al governo non riesce a sottrarsi al vizio di riscrivere quel passato a proprio uso e consumo potendo approfittare di un Paese smarrito e senza memoria. Lo fa con lo stile di sempre, quell’impasto di vittimismo, reducismo e comunitarismo che contraddistingue la retorica e l’immaginario neofascista di ogni tempo.
E così il Movimento sociale italiano viene presentato come l’Arca di Noè che avrebbe “traghettato verso la democrazia milioni di italiani usciti sconfitti dalla guerra” e avrebbe avuto “un ruolo molto importante nel combattere la violenza politica e il terrorismo”.
L’obiettivo politico è chiaro: dal momento che il partito del premier, Fratelli d’Italia, ancora porta nel suo simbolo la fiamma tricolore del Msi, si avverte l’impellente esigenza di riscrivere la storia ascrivendo d’ufficio quel partito alla migliore tradizione gollista italiana e della destra democratica, così da rilanciare il tema istituzionale del presidenzialismo.
Purtroppo, le cose non stanno così e forse non è inutile ricordarlo. Bene hanno fatto la Comunità ebraica di Roma e l’Unione delle Comunità ebraiche a condannare con forza il tentativo di riscrivere la storia d’Italia in modo posticcio e pasticciato, ma sarebbe sbagliato – perché anche la viltà, l’opportunismo e l’ipocrisia dei cosiddetti “terzisti” possono trovare un limite - delegare soltanto ai vertici di quella comunità l’onore di una risposta chiara e ferma (Pasolini avrebbe detto “un giudizio netto, interamente indignato”).
Per quanto riguarda la prima affermazione, il Movimento sociale italiano è stata la scialuppa di salvataggio dei reduci e dei collaborazionisti di Salò che con la storia della Repubblica italiana, democratica e antifascista, nata dalla Resistenza, per ovvie ragioni non ebbero nulla a che fare. La difficile educazione democratica di milioni di italiani fu il gravoso compito assunto dalla “Repubblica dei partiti” con l’impegno delle grandi organizzazioni di massa, la Dc, il Psi e il Pci e di forze più piccole ma dall’importante influenza culturale e civile come i repubblicani, i socialdemocratici e i liberali che tutti insieme formarono il cosiddetto “arco costituzionale” che, per l’appunto, escludeva il Msi.

La fine della dittatura e la morte di Mussolini aveva costretto milioni di italiani che erano stati fascisti a chinare il capo, ma senza cambiare la testa e il cuore. Infatti, quanti avevano puntellato per vent’anni il regime con il loro entusiasmo ed erano stati educati e cresciuti nel culto della personalità del duce non erano spariti come per magia, bensì avrebbero condizionato con la loro stessa presenza la vita politica italiana, a partire da quell’ispirazione nazionalista, antidemocratica, bellicista, antiparlamentare e razzista di cui il fascismo era impregnato. Questi elettori formavano un vasto serbatoio di voti che si sarebbe organizzato nel 1946 nel Msi, intorno alla figura di Almirante e ai reduci della Repubblica sociale italiana, ma che sarebbero confluiti, a seguito di camaleontiche mutazioni ideologiche e rapide abiure e grazie a un’abile iniziativa politica di De Gasperi e di Togliatti, anche nella Democrazia cristiana e nel Partito comunista italiano.

Per quanto concerne la seconda affermazione è noto che una serie di personalità, direttamente collegate alla terribile stagione della strategia della tensione e all’esperienza storica del neofascismo, hanno militato nel Movimento sociale italiano: si pensi al capo di Ordine Nuovo del Triveneto Carlo Maria Maggi, condannato per la strage di Brescia del 1974 e già membro del comitato centrale del Msi, partito ove era rientrato insieme con Pino Rauti nel 1969; o a Massimo Abbatangelo, per quattro volte parlamentare, assolto dal reato di strage ma condannato a sei anni per detenzione di esplosivo nell’ambito del processo sull’attentato nel 1984 del treno rapido 904; oppure a Massimiliano Fachini, condannato per banda armata, e consigliere comunale a Padova del Movimento sociale italiano nel 1970; o anche a Carlo Cicuttini, segretario missino della sezione di Manzano del Friuli, condannato per l’assalto all’aeroporto di Ronchi dei Legionari e all’ergastolo per la strage di Peteano del 1972. Lo stesso segretario del Msi Almirante venne rinviato a giudizio dai magistrati veneziani per favoreggiamento aggravato, con l’accusa di avere finanziato la latitanza spagnola di Cicuttini, ma uscì dal processo nel 1987 usufruendo di una amnistia. Ci fermiamo, ma potremmo continuare.
Da chi ha l’onore di governare la nostra Nazione ci si attenderebbe una parola di chiarezza, di responsabilità e di serietà rispetto a questo tragico passato, il presupposto per edificare un “ethos repubblicano condiviso”, così lo chiamava il compianto filosofo Remo Bodei, che è l’obiettivo cui dobbiamo tendere.

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