giovedì 3 marzo 2022

Meditativo

 

Fare gli ucraini col Kiev degli altri

di Marco Palombi 

La guerra è sempre, come e più d’altri stati d’emergenza, un acceleratore di processi psicologici: questa, che segue due anni di pandemia, lo è forse di più. Per arrivare a ordinare un caffè in qualunque bar bisogna ormai attraversare qualche centinaio di psicopatologie assortite: riformati alla leva con l’elmetto, estremisti da tavernetta a caccia di collaborazionisti, campioni di Risiko che basta radere al suolo la Russia e smembrarla in cinque pezzi, no border che inneggiano al sacro suolo patrio violato e sovranisti che lo spazio vitale di Mosca, quelli che Zelensky come Allende e quelli che Putin come Che Guevara, gente che vuole fucilare Assange e beatifica Anonymous, sovietologi freschi di corso online, piccoli fan delle bombe sull’Iraq con le fialette false in cerca di legalità internazionale, adulti rotti a ogni compromesso e a ogni viltà che arruolano gli altri nella guerra del Bene contro il Male, Kiev bel suol d’amore, la legione straniera europea e ancora e ancora… Rinunciato al caffè, riepiloghiamo a mente i fatti. Né gli Usa né altri vogliono (giustamente) attaccare militarmente la Russia. Cosa fanno allora? Impongono sanzioni più o meno dure, e va bene, e danno armi all’Ucraina, spingendo l’esercito di Kiev e i civili – quanti eroi ed eroine col fucile sui giornali in questi giorni – a combattere una guerra per procura, guerra che peraltro fino a ieri non era davvero iniziata (“l’esercito russo si è presentato lì con materiale bellico per fare 15-20 mila morti al giorno, mentre le fonti ufficiali ucraine, almeno fino a ieri, parlavano di 130 morti”, ha detto l’ex generale Fabio Mini). Sanzioni e carne da cannone ucraina dovrebbero spingere Putin a trattare o qualcuno dei suoi a farlo fuori, quando non si sa. Il rischio, parafrasando il celebre aforisma di Stefano Ricucci, è fare gli ucraini col Kiev degli altri e senza neanche sapere quali ponti d’oro vorranno costruire a Washington per il nemico che volesse tornare indietro. Vasilij Grossman (sì, era russo), in quella meraviglia che è Vita e destino, scrisse: “Esiste un diritto superiore a quello di mandare a morire senza pensarci due volte. È il diritto di pensarci due volte prima di mandare qualcuno a morire”. Vale per tutti, non solo per il puzzone russo.

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