Il bunker preferirei di no
di Michele Serra
Il nostro futuro è nei bunker, come preconizza su questo giornale Marco Belpoliti con trattenuta ironia? Preferirei di no. Cedo il mio bonus governativo, quando sarà stanziato, ai bambini e a chi dovrà tenerli al petto, io voglio morire all’aperto così come ho prevalentemente vissuto.
Da anni leggo con ilarità e disgusto gli articoli sui rifugi antiatomici extra-lusso nei quali ricconi magari congelati in un sarcofago aspettano la resurrezione, con la mazza da golf in mano. Non sarò della partita. Mi è di grande sollievo saperlo.
Volendo, dispongo di una cantina seminterrata di genere fluid (è un poco cantina, un poco deposito degli attrezzi) che può reggere solo a un bombardamento leggero o maldestro. In compenso ci sono salumi e bottiglie quanti ne bastano per non morire di stenti, semmai di grande bouffe, e a pochi metri un arsenale di libri imponente, non basterebbero tre vite per leggerli.
Importante è non trascurare gli occhiali, ce ne vuole anche un paio (almeno) di riserva. In un leggendario episodio di Ai confini della realtà, televisione in bianco e nero, un tizio sopravvive all’ecatombe nucleare con una pila di libri, ma rompe gli occhiali ed è perduto.
Più in generale, volendo assecondare il pessimismo più nero, bisogna che la bomba ci trovi di ottimo umore. Mai dare ai padroni della guerra l’illusione che possano rovinarci la vita, o imprigionarci in una cappa di terrore.
Sia il bombarolo jihadista o il killer suprematista, sia il leader sadico o il generale servile che gli obbedisce, non devono vederci spaventati nemmeno per un attimo: per questo non voglio chiudermi in un bunker, voglio che vedano, i miei assassini, che scompaio ignorandoli.
Nota bene: non sono coraggioso. Orgoglioso però sì.
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