La guerra dei vaccini
di Michele Serra
Comincia a farsi avvincente (anche divertente, non fossero in ballo stock di vite umane) l’intricato rapporto tra geopolitica e vaccini. Gli inglesi sono sospettati di versare il loro vaccino nei corn flakes pur di lesinarlo agli europei; gli ungheresi aprono al vaccino di Putin pur di mostrare le spalle all’Ue, con la quale, del resto, c’entrano poco; il vaccino cinese – che magari è super – viene trattato con sufficienza, come le altre cineserie da esportazione, non tutte note per la qualità; gli americani sventolano i dollari ma non è certo che bastino a domare Big Pharma, perché l’Azienda, cari miei, ormai è un’entità molto più tosta dello Stato, di qualunque Stato e anche di tutti gli Stati messi insieme (vedi la Ue, una intera comitiva di Stati costretta a discutere con un paio di Consigli di amministrazione).
Infine, di vaccini iracheni, congolesi o guatemaltechi non si sente parlare, a conferma che tra ricerca, quattrini, potere, c’è un nesso molto ovvio.
Si sa che la faccenda è irta di implicazioni tecniche, mediche, legali, neanche mi sogno di affrontarle. Era solo per dire che il concetto aureo di "neutralità della scienza" è soggetto a tante e tali deformazioni, pressioni, compravendite, che va preso con le molle. La scienza risponde in parte a se stessa, in parte ai Consigli di amministrazione, per ultimi ai governi.
Non c’è da scandalizzarsi, così funziona il mondo, e anche gli insigni e liberi cervelli che scoprirono come domare l’atomo dovettero poi inorridire per l’uso che di quella magnifica scoperta venne fatto. Qui, più in piccolo, si tratta di dire che c’è parecchia confusione; la tentazione sarebbe di ordinare su Amazon un cocktail di tutti i vaccini disponibili. Ma non credo sia possibile.
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