Lo attendevo al varco, sapevo che non sarebbe riuscito a restar muto. Ed infatti oggi, nel centenario della nascita del Partito Comunista Italiano, ha parlato, probabilmente dopo una verticale di Krug a Cortina a parlare dei massimi sistemi, che si riferiscono fondamentalmente all'antico detto "compagno tu lavori e io magno."
Fondamentalmente arzigogolista, capace di emulare per certi aspetti le celeberrime "supercazzole" di tognazziana memoria, il compagno Fausto ha rappresentato negli anni in cui era segretario di Rifondazione Comunista, l'ipotetico spiraglio lasciante intravedere una probabile novità, una riconquista sociale delle categorie da troppo tempo sbeffeggiate nel servilismo. Ma è purtroppo realtà che lo spirito è forte e la carne manco per sogno, e lo si è visto in maniera eclatante in ambito cardinalizio, figurarsi in quello politico. Da quando Faustino con il suo porta occhiali al collo divenne Presidente della Camera, tutto svilì e si tramutò in un svilito vociare nei salotti bene, li chiamano così in realtà sono l'essenza della casta sociale, una logorroica, sviante e poliedrica fuffa attorno a concetti tento divergenti ed opinabili da rendere un imbelle mosaico ciò che rappresentava "quella vaga idea di socialismo" (cit.) ad uso e consumo di una rappresentanza trasformatasi negli anni in un club privatissimo per pochi a discapito dei tanti che credettero nella novella di Livorno.
Il dopo temporale dei "Fausto - Baffino - "abbiamo una banca" di ugole fassiniane" - è la prova madre della dispersione per privati scopi di un ideale solo in apparenza innovativo e rivoluzionario. Mancarono, e mancano ancor più oggi, gli uomini, all'Enrico per intenderci.
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