domenica 3 dicembre 2017

In vista, ineluttabili


2.
Ecco s’intravedono, non sono certamente lontani come a luglio, stanno arrivando i giorni, non della merla, bensì del sospiro, come il ponte veneziano; ineluttabili, impossibili da schivare a meno che sorella influenza ammorbi felpatamente le nostre gole, indisponendoci al rito tribale di dover, ecco il sopruso, regalar qualcosa a chi teniamo in conto, in disparte come la conserva genuina, l’occhio di riguardo, addirittura scomodiamo gli affetti, la sensibilità afferente, il dover dimostrare appartenenenza, il soggiacente effluvio della riunione di sentimenti, il dover esplicare gaiezza, anche quando non ve ne fosse. Parte l’ennesimo giro della ricerca forsennata del gingillo da incartare per omaggiar parenti e amici, pregno di terrore del dimenticar cosa si regalò negli anni andati, per non cader in ridondanza. 
Lo schema, tribale, è sempre il solito: rimandare, evitare, dimenticare l’obbligo che l’altra metà ha ben presente, con il finale scontato da avanspettacolo dozzinale, quello degli ultimi giorni disosssati a rincorrer scontrini, afferrando cianfrusaglie a mani basse, percuotendo convinzioni come l’inutilità, migliore in questi tempi della dimenticanza sfociante nella faccia d’allocco allorchè un impensabile, non certamente in lista, t’avvicina mostrandoti molari ed affini con il pacchetto lucente che ricevi senza ricambiar, e se pur la scusa prodotta del dirgli -il tuo l’ho a casa- sopisce per attimi lo sdegnato sgarbo insinuatosi in lui, ciò ti riesce davvero impossibile a colmare se l’accadimento avviene di Vigilia sul far della notte, a meno che tu non rivolga attenzioni morbose verso un autogrill, ove al massimo potrai acchiappare un cioccolato slavato e scialbo, che sarà come dirgli -cazzo mi son dimenticato!-
La tecnica adottata ed affinata in codesti sconvolgenti momenti è di pura sottomissione ai voleri altrui, l’appoggio indiscusso ad ogni proposta di acquisto, le approvazioni gestuali, facciali davanti a centrini, portacarrube, tovagliette, cucchiai di ceramica, oliere in quel regno insoluto la cui chiave aprente la libertà si schiude solo nell’evasione dell’elenco, tronfio, pregno di mistero, tra i gemiti di commesse ridanciane a forza e padroni ilari d’incasso.
Avvertirò, come ormai da lustri, i voli pindarici in fantasie di altri simili accompagnatori, preoccupati di non perdere troppo il filo per non finire liofilizzato dai severi e vigili bulbi altrui, come un occasionale piombato lì da chissà dove. E la preparazione all’appuntamento del dono vertirà, come sempre, sulla predisposizione, specializzata a mezzo corsi di yoga, a divenir destinatario di quesiti imbufalenti persino un certosino da decenni in mistica clausura, del tipo -e se regalassimo questa teiera alla zia e questa portaconchiglie la donassimo allo zio Edmondo? o rimembranze sul genere -ma a mia cugina due anni fa non abbiamo regalato un kit di shampoo alle erbe australiane?-
-guarda questa tazza con la faccia di Pupo! Mi sembra di avergliela già vista sulla credenza, vero?-
Al solito quindi siamo pronti a tutto, mansueti e pronti a soddisfar esigenze di Messer Pil, consorte tanto amato dalla dea Compulsione, autentica festeggiata di questi tempi luminosi, ad intermittenza naturalmente!

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