giovedì 14/12/2017
La Volpe di Rignano
di Marco Travaglio
Se si circondasse di esseri pensanti, anziché di cavalier serventi, Renzi scoprirebbe che perde voti a rotta di collo non per le notizie false (o le fake news, come fa fine chiamarle): ma per quelle vere. Non solo sui disastri del suo governo, ma anche sulle incredibili posizioni – più numerose e spericolate di quelle del Kamasutra – che il Pd ha assunto su tutte le leggi rimaste sospese nel finale di legislatura. Non è una fake news che la legge sul bavaglio e le intercettazioni, simile o peggiore di quelle tentate da B., non freghi nulla ai cittadini e sia percepita come uno scudo per la Casta che vuole nascondere le proprie vergogne, a dispetto delle critiche unanimi di magistrati, avvocati e giornalisti: è la verità. Non è una fake news che il testamento biologico, che invece interessa parecchio ai cittadini, galleggi fra Camera e Senato da una decina d’anni (il caso di Eluana Englaro è del 2009) senza mai diventare legge non perché sia privo di una maggioranza (i 5Stelle sono favorevolissimi), ma perché il Pd è spaccato e i renziani non vogliono scontrarsi col loro prossimo alleato B.: è la pura verità. Non è una fake news che la legge sullo Ius Soli si ispiri a un giusto principio, ma sia scritta coi piedi perché non tiene conto dell’esigenza di continuare a espellere i propagandisti jihadisti e considera sufficiente un solo ciclo scolastico (anche le elementari) per fare del figlio di un immigrato nato all’estero un cittadino italiano; e così è diventata una formidabile arma di propaganda e una lucrosa mangiatoia di voti per la Lega, grazie ai tentennamenti del Pd, che ha continuato a prometterla pur sapendo che non c’erano i numeri, né il tempo, né le condizioni: anche questo purtroppo è vero.
E non è una fake news che il più odioso dei privilegi della Casta, i vitalizi dei parlamentari (più gli ex), sopravviverà anche a questa legislatura grazie al Pd che, paradosso dei paradossi, ha presentato con Matteo Richetti un’ottima riforma il lontano 9 luglio 2015. Cos’ha impedito di approvarla in questi due anni e mezzo, visto che anche M5S, Lega e Fratelli d’Italia non vedevano l’ora di votarla? Il Pd, appunto. E non, si badi bene, perché Renzi – come sarebbe stato legittimo – abbia cambiato idea, spiegando le ragioni del voltafaccia agli elettori. Ma perché si è arreso al partito dei vitalizi: un po’ per non guastarsi i rapporti con B., un po’ perché non osa sfidare i suoi furbastri che vogliono tenersi il bottino. E non ha neppure il coraggio di ammetterlo: da mesi fa il gioco delle tre carte sperando di confondere la gente e ora se la prende con Grasso, come se la colpa fosse del presidente del Senato.
La successione degli eventi, per chi vuole la verità e non le fake news renziane, è chiarissima. Il 26 luglio scorso, due anni dopo il deposito, mentre il Fatto raccoglie quasi 300 mila firme anti-vitalizi, il ddl Richetti viene approvato alla Camera col Sì di Pd, M5S, civatiani, Lega e FdI, mentre Mdp si astiene e FI (contraria) non partecipa al voto. Ma, quando la legge passa al Senato, il capogruppo Pd Zanda dice che potrebbe essere incostituzionale (ha impiegato 24 mesi per accorgersene) e il tesoriere Ds Sposetti minaccia addirittura di impallinare la legge di Bilancio. Così tutti capiscono che il Pd ha approvato la legge alla Camera già sapendo che l’avrebbe affossata al Senato. Anche perché, per farla finita col privilegio, non c’è bisogno di una legge: la materia è sempre stata disciplinata dai regolamenti parlamentari, modificabili con una semplice delibera degli Uffici di presidenza delle Camere. Infatti proprio questo chiedeva la nostra petizione: una delibera approvabile in 5 minuti che cancelli le iniquità sopravvissute alla riforma in senso contributivo varata nel 2012 sotto Monti: ricalcolo dei vecchi vitalizi alla luce del nuovo sistema; età pensionabile a 66 anni e mezzo (come da legge Fornero) anche per i parlamentari, che ora dopo una legislatura percepiscono la pensione a 65 anni e dopo due legislature addirittura a 60 anni; tetto massimo di 5 mila euro lordi al mese, anche per chi cumula le pensioni di parlamentare, di consigliere regionale, di eurodeputato e quella per attività private. Queste modifiche, inserite nel regolamento, sarebbero al riparo da bocciature della Consulta, che non può sindacare sull’“autodichia” delle Camere, ma solo sulle leggi.
Il Pd sa bene che la strada maestra è quella, tant’è che il 22 marzo scorso fa approvare dall’Ufficio di presidenza della Camera la delibera Sereni, che però si guarda bene dall’abolire i vitalizi (come da ddl Richetti): prevede solo un contributo triennale di solidarietà per gli ex deputati, con un risparmio di poche briciole. Il 26 luglio, poi, la Camera approva il ddl Richetti, che va ben oltre la delibera Sereni. Questa arriva in Senato, ma ovviamente i 5Stelle la ritengono insufficiente e rispondono con la delibera Bottici sulla falsariga del ddl Richetti. Grasso intanto pone un problema: agendo sulla stessa materia con due strumenti diversi (delibera regolamentare e legge ordinaria), alla fine quale dei due prevarrà? La risposta è affidata a due giuristi, ma questi però si fermano subito, perché è arrivata in Senato la legge Richetti. Che, di rinvio in rinvio, il Pd avvia sul binario morto per non spaccarsi e non litigare con B. Risultato: niente delibera e niente legge, anche se i numeri per approvarle entrambe ci sarebbero eccome (anche senza i dissidenti Pd). E ora i renziani, non potendo prendersela con se stessi, strillano contro Grasso: che ora può convocare l’Ufficio di presidenza per stanare finalmente il Pd. Fu così che la Volpe di Rignano riuscì nell’ennesima mission impossible: regalare altri voti a Di Maio, Salvini e Meloni sabotando una legge del suo braccio destro. Ma chi lo consiglia, Tafazzi?
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