Siamo uomini o coleotteri?
di Michele Serra
Nel tentativo (forse un po’ patetico, a una certa età) di non rimanere escluso da quanto dicono e pensano le generazioni successive alla mia, leggo che sarebbe in corso una vivace discussione social sulla figura del “maschio performativo”: che di primo acchito parrebbe il maschio che smania per sembrare “er mejo fico der bigoncio”, come si dice a Roma.
È invece, al contrario, il maschio che ostenta modi e gusti “femminili” con lo scopo recondito di attirare le ragazze. Un simulatore, insomma, che ha scelto la performance più subdola (la mimesi) a scopo di predazione. Un porco travestito da farfalla.
Pare che la discussione sia nata (in America) con intenzioni semi-giocose, assumendo presto i toni e la grevità di una ispezione morale — l’ennesima — sui comportamenti erotici e sentimentali.
Già Edoardo Prati, qualche giorno fa su questo giornale, si domandava se sia proprio il caso di catalogare le persone, e i loro comportamenti, con tanta pedanteria, appiccicando etichette a ciò che non è etichettabile (siamo, per fortuna, ognuno fatto alla sua maniera, e come cantava quel genio di Dalla, l’anno che verrà «faremo l’amore ognuno come gli va»).
Nell’accodarmi a Prati, vorrei porre ai partecipanti a questo dibattito, spero pochissime e pochissimi, un paio di interrogativi che li spingano a occuparsi d’altro.
Per esempio: se uno legge Jane Austen ma rutta tra un capitolo e l’altro, rientra nella categoria? E se beve una tisana, ma in canottiera traforata e con i bicipiti unti d’olio? E se suona il violino, peggio ancora la viola, ma pratica il sollevamento pesi? Infine, ultima domanda: e se la si smettesse di classificare gli umani come si classificano i coleotteri?
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