Attacco ai Patagarri: in Italia non c’è gusto a essere intelligenti
DI ANDREA SCANZI
La polemica che ha travolto i Patagarri, rei di essersi “schierati troppo” durante il Concertone del Primo Maggio, è tanto noiosa quanto deficiente. Di fronte a un artista che si schiera, il potere deve (dovrebbe) fare una sola cosa: tacere.
Come ricordava senza sosta (e senza speranza) Fabrizio De André, l’artista è una sorta di anticorpo: si espone in prima persona, spesso al posto della persona comune, e fa sì che attraverso il suo esempio – per certi versi il suo sacrificio – la società civile acquisisca più anticorpi e dunque più difese immunitarie nei confronti del potere (che, sempre per De André, non può mai essere buono. Dunque l’artista non può non opporsi).
Ogni volta che un artista si schiera in Italia, e accade sempre più di rado, c’è sempre qualche babbeo pronto a scattare con effetto pavloviano, gridando allo scandalo e al sacrilegio. Tutto questo non stupisce, ma mette parecchia tristezza. Purtroppo a reagire così non è solo il potente di turno, che se potesse censurerebbe anche l’aria, ma pure lo spettatore/ascoltatore medio, convinto che gli artisti debbano soltanto intrattenere. Come no. Una società piena di Eros Ramazzotti e Laura Pausini e vuota di Roger Waters e Francesco Guccini farebbe felici i Gasparri (cioè nessuno), ma sarebbe una sorta di nowhere depravato, distopico ed eticamente esangue, dentro il quale va bene tutto e l’indignazione non esiste (più o meno come l’Italia attuale, in effetti). Ve lo immaginate il Bob Dylan dei Sessanta privo di afflati sociali, e quindi mai rivoluzionato? Che cosa avrebbe cantato nei Settanta (e non solo nei Settanta) la musica d’autore italiana senza l’impegno sociale? È ovvio poi che questo non è un obbligo, anzi la storia d’Italia è piena di artisti bastonati dalla critica più ebete per un impegno “non spiccato” quando non disallineato (Battisti, Gaetano, Graziani, Baglioni, etc). Ognuno si esprime come vuole e come può. Stupirsi e inorridirsi di fronte a chi si schiera è però una delle tante forme di demenza contemporanea. Oltretutto i Patagarri lo hanno fatto all’interno di un concerto che nasce politicizzato, come ben sanno tra i tanti Elio e le Storie Tese (censurati nel 1991 senza pudore dalla Rai) e quattro anni fa Fedez: se non il Primo Maggio su quel palco, quando? La verità è che siamo così anestetizzati, e così disabituati alla protesta, che basta un appello minimo di Ghali o una provocazione oltremodo pertinente dei Patagarri per andare in cortocircuito. Ormai persino schierarsi in difesa dei bambini morti a Gaza è ritenuto sconcio. Se Waters (da sempre lapidato per il suo troppo impegno politico) scrivesse oggi Animals coi Pink Floyd, e peggio ancora se Gaber incidesse ora Io se fossi Dio, verrebbero entrambi arsi in pubblica piazza tipo Giordano Bruno.
Il rincoglionimento è pressoché totale e il “tengo famiglia” una regola di vita che piace ormai a destra e (certa) sinistra. Se non altro, ogni tanto si scorge ancora vita. A scagliarsi con prevedibile veemenza sionista contro i Patagarri è stato David Parenzo, noto democratico pro-Israele senza se e senza ma. La spalla morbida di Cruciani ha tuonato: “Confesso che prima di oggi non avevo la minima idea di chi fossero i Patagarri, poi ho ascoltato la loro performance in Piazza San Giovanni per il concerto del 1º Maggio e, ferma restando la loro libertà di dire e cantare quello che vogliono, rivendico la mia libertà di dire loro che prendere una nota canzone ebraica e storpiarla con una bieca propaganda pro Pal e contro Israele è semplicemente raccapricciante”. Gli ha risposto magistralmente Valerio Lundini: “Con tutta la mia non conoscenza dei Patagarri possiamo pure dire che, allo stesso tempo, la performance di Israele di prendere una nota terra palestinese e storpiarla ammazzandoli tutti non è manco ’sto capolavoro”. Semplicemente perfetto, ma temo anche inutile: in Italia, come ammoniva Freak Antoni, non c’è gusto a essere intelligenti.
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