Il pacifista con le zanne
di MICHELE SERRA
Essere candidati al Nobel per la Pace da Bibi Netanyahu parrebbe un handicap insuperabile — è come se Totti candidasse qualcuno al Nobel per la Letteratura. Ma abbiamo imparato che la logica non è il metro più adatto per misurare questa epoca, e dunque aspettiamoci di tutto: perfino che, su un tema così insensato, si apra un dibattito politico in piena regola.
L’uomo che ha bombardato l’Iran, che vuole annettersi la Groenlandia, che progetta per Gaza la deforestazione degli indigeni per fare spazio a insediamenti turistici che trasformino il sangue in long-drink, che suggerisce agli ucraini una resa camuffata da pace e tratta il mondo come un giocatore di Risiko disposto a rovesciare il tavolo se gli altri giocatori non lo assecondano; un uomo di tal fatta ritiene sicuramente lecita e anzi dovuta la sua nomina a gran Pacifista (così come grande Economista, grande Statista, grande Amatore). E se lo ritiene lui, lo crederà vero anche il suo esercito di elettori, che stravede per l’aggressività, la potenza e la ricchezza del capo ma pretende che lo si consideri come un saggio capotribù.
Il più mediocre e disattento dei volontari soccorrevoli che, in giro per il mondo, cercano di suturare le ferite di guerra, merita il Nobel per la pace un milione di volte più di Trump. Ma pensarlo, e dirlo, vale solamente per quel pezzo di mondo, speriamo consistente, che cerca di valutare le azioni umane secondo realtà. Per molti altri, Trump e l’amico Bibi meritano per davvero il Nobel per la pace; e se non lo avranno sarà solo a causa dell’astio e dell’invidia dei professoroni dell’Accademia svedese. Scommettiamo? Il prossimo target, dopo Harvard, sarà Stoccolma.
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