Amici, nemici e niente in mezzo
di MICHELE SERRA
Quando si dice che è morta la dialettica, sopraffatta dal metodo binario “giusto/sbagliato”, “amico/nemico” imposto sui social (o imposto dai social, a seconda che si metta l’accento sulla prepotenza degli utenti o sulla sregolatezza del mezzo), non si dice qualcosa che riguarda gli appassionati di filosofia o gli intellettuali. Si dice qualcosa che riguarda la società intera e il popolo in primo luogo, perché meno munito di altre fonti di informazione e luoghi di espressione.
Il pauroso clima di odio che sta prendendo piede in America, quello spezzarsi in due metà in guerra, o di qua o di là, è anche figlio dei social. L’erosione progressiva del grigio, del tempo per riflettere, dell’esitazione nel giudizio, della voglia di confrontarsi non per sopraffare l’altro ma per conoscerlo e magari convincerlo, non solo non è un dettaglio: è una cancrena. I social hanno tribalizzato la comunicazione politica, e come dice Safran Foer “la violenza non richiede eserciti; ha solo bisogno di vicini che smettano di credere l’uno nell’altro. Il pericolo non è solo nelle fantasie di vendetta ai margini, ma nell’esaurimento del centro”.
Questo esaurimento del centro è al tempo stesso un fenomeno sociale, culturale e politico. Sociale: perché scompare il ceto medio e si radicalizza la divisione in ricchi e poveri; culturale: perché muore la dialettica; politico: perché gli estremisti riempiono la scena per intero, e possono addirittura diventare presidente, come Trump che è violento e bugiardo in ogni singola sillaba che gli esce di bocca e proprio per questo — certo non per i suoi meriti — ha vinto. Che fare?
Prepararsi al peggio e tenere duro. Ed essere contenti di vivere in paesi dove le armi da fuoco in mano ai privati sono pochissime.
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