mercoledì 23 luglio 2025

Ottimo Robecchi!

 

Milano. Il luna park per milionari dell’urbanistica che scaccia i poveri
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Siccome ora sono tutti critici con il “modello Milano”, anche e soprattutto quelli che l’hanno incensato, sostenuto, ammirato, la tentazione diabolica dell’“Io l’avevo detto” preme come un rigurgito rabbioso. Ma sì, qualcuno l’aveva detto, l’aveva scritto, l’aveva raccontato, ma la narrazione ufficiale era più forte. Milano moderna, Milano glamour, efficiente, lo sviluppo, la rigenerazione, insomma tutte le cose che nella neolingua hanno creato l’avamposto nazionale della guerra ai poveri per via urbanistica. Milano, appunto.
Prima i proletari – ma chi se ne frega dei proletari? – poi l’ex ceto medio impoverito, l’espulsione dei meno abbienti da una città privatizzata è stata venduta per anni come “sviluppo”, parola magica. Milano abbonava miliardi ai costruttori, oliava i loro affari, incoraggiava e autorizzava le loro speculazioni, e intanto sforbiciava il resto, le piscine chiuse o privatizzate, i centri sportivi fermi, i servizi tagliati, le migliaia di alloggi popolari tenuti sfitti e vuoti. I soldi che non ci sono, che era il mantra del sindaco Sala, mentre i soldi giravano che è un piacere, ma sempre nelle stesse tasche. Le tasche di gente (quel Catella profeta della speculazione milanese) che ha licenza di far tutto, compreso perculare chi non ci sta: “Se a Milano i prezzi sono alti, che andassero a vivere a Genova”. Insomma, via, fuori dai coglioni chi non può permettersi Milano, e se lavora a Milano che faccia il pendolare.
Di questo disegno, realizzato con tignosa continuità sull’asse Albertini-Moratti-Pisapia-Sala, non interessano tanto le ricadute giudiziarie, quanto la sostanza politica, e cioè il grande paraculissimo alibi liberista che rendendo molto ricchi i ricchi qualche briciola possa cadere dal tavolo e aiutare anche gli altri. Cosa che il “modello Milano” smentisce nei fatti: ricchi più ricchi e sfigati più sfigati, realtà certificata, ormai sfollati dalla città verso le periferie, poi l’hinterland, poi la provincia, quando va bene.
E ancor più del progetto sociale – disegnare una città sulle esigenze della speculazione e non sui bisogni dei cittadini – mette vergogna il disegno culturale, la copertura ideologica, per così dire, venuta dalle élite travestite da sinistra intellettuale, il paradigma dell’ecologia per milionari (il bosco verticale), l’aumento delle metrature, i rendering pieni di verde che poi non trovi più nella realtà costruita, con continuo consumo di suolo, di affari, di “riqualificazioni”. Una compagnia di affaristi, insomma, con l’intellighenzia sedicente progressista che partecipa al banchetto, anzi, lo disegna, letteralmente.
E la “sinistra” (ossignur, ndr) ad annuire, una “sinistra” complice e implicata, non solo politicamente, ma proprio intimamente, culturalmente complice del cinepanettone di mattoni e milioni chiamato “modello Milano”.
E a chi si porta avanti col lavoro, e si chiede “E ora?”, non resta che la desolazione. Non sarà il Pd milanese (quello che sfilava il 25 aprile vestito di blu inneggiando a Coco Chanel), non sarà l’architetto Boeri che reclama permessi e affari per imprenditori a caccia di profitti, e che poi disegna la panchina di design “per chi non ha casa” e la presenta al Salone del mobile, non sarà il sindaco, che ha fatto da passacarte e garante di un modello classista e che ha fatto della città di Milano una specie di luna park per ricchi. Gli altri, cazzi loro, vadano a vivere a Genova, ma vengano a lavorare qui, perché servono un sacco di poveri per far funzionare una città di ricchi.

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