Estremisti di centro. Quel “lei non sa chi sono io” dei liberali senza popolo
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Stiamo calmi, non drammatizziamo: ci sono problemi e ci sono cose ridicole. E poi ci sono cose ridicole che diventano piccoli problemi, e una di queste è l’intemperanza verbale di alcuni “moderati” che paiono morsi dalla tarantola e si comportano, sui social, come bimbiminkia: un interessante caso di sindrome mimetica. Mi spiego: alla fine, di certi soggetti, non si sa dire se siano pacati e moderati liberali a cui è saltato il tappo, oppure se fossero da sempre mediocri attaccabrighe travestiti da pacati e moderati liberali. Il mistero persiste, ma i casi di scuola cominciano ad essere numerosi e si registra l’esilarante fenomeno dell’estremismo di centro. Quasi tutti “liberali”, qualunque cosa significhi, quasi tutti in posizioni di potere, quasi tutti arrogantissimi e tutti, senza eccezioni, disposti ad affondare nel ridicolo in pubblico, con ferite autoinferte.
Ecco il famoso medico diventato virostar e personaggio tv, un po’ preda della nostalgia per i bei tempi in cui sembrava un luminare, che esercita la terribile arte del protagonismo su ogni argomento dello scibile umano, dalla geopolitica for dummies, alla caccia all’orso, alle gomme delle macchine sportive. Gustoso. Ecco il professore universitario che, irritato per i mancati riconoscimenti (traduco: molti si permettono di pensare che non è un genio), sbraita e minaccia via social come un maranza davanti a uno sgarro. È tutto un irridere e un insultare, uno sventolare sindromi passivo-aggressive, un chiedere punizioni esemplari, licenziamenti, radiazioni, multe, per chiunque osi mettere in discussione le loro inarrivabili qualità. Se qualcuno si permette di avanzare dubbi, arriva la grandinata: è virologo lei? E allora perché parla! È professore? E allora che dice! È ingegnere? Vedere la laurea! Salvo poi discettare – loro – di qualunque cosa, con il senso comune del bar, la competenza del passante e l’eleganza del pescivendolo. Aggiungiamo per completezza del quadro, un profluvio di politici dall’ego ipertrofico, che si piccano di essere la ragionevolezza fatta persona e il moderatismo in terra, e poi, con la sola applicazione del pollice opponibile sulla tastiera del telefono, si trasformano in ultras della curva, bava alla bocca, giugulare ingrossata dall’ira e occhi spiritati compresi. I casi sono ormai numerosi, dal senatore con molti account, ai mitomani che si scrivono da soli “Bravo! Hai ragione!”, a molti altri, e non sapremmo dire né chi è il peggiore né perché proprio Calenda.
Si diceva all’inizio: non è un grosso problema, per il Paese. O forse sì, non tanto per i fenomeni singoli, che amano appunto “fare i fenomeni” (in senso freudian-albertosordiano), quanto per lo stato delle élite, o sedicenti tali, del Paese. Sconcertati dalla perdita di aderenza presso i cittadini generici, sconvolti che qualcuno possa dubitare del loro verbo – e addirittura dirglielo – i parrucconi si comportano come signorotti settecenteschi, increduli davanti a tanto osare della plebe che li sbertuccia. Alla fine, più o meno mascherato, viene fuori sempre il vecchio caro “Lei non sa chi sono io”, ma la tragedia, invece, è che ormai si sa, chi è lui.
Fa molto ridere una modalità “sovversiva e rivoltosa” in uomini e donne di potere, con buone posizioni, socialmente affermati, esilaranti arruffapopolo senza popolo. Significa che c’è un certo nervosismo nell’aria, che certe élite non si sentono più così al sicuro, e reagiscono come un qualunque coatto in lite per il parcheggio. Che spettacolo!
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