martedì 15 luglio 2025

Andrea e il vassallo

 

Una vita da vassallo: storia di Bocchino, neo-eroe meloniano
DI ANDREA SCANZI
È il sogno di tutti: rinascere Bocchino. Di lui non si può non amare anzitutto l’onestà intellettuale, la piacevolezza, il garbo e quel suo non essere mai tifoso. Non è facile per noi comuni mortali raggiungere i suoi livelli, ma impegnandoci possiamo quantomeno avvicinarci al Siddharta del Melonismo. Ecco alcune caratteristiche del nostro eroe.
– In primo luogo, Italo B(alb)occhino ha dimenticato buona parte del proprio passato, fatto sì di non poche cazzate (da sempre uno dei suoi marchi di fabbrica), ma anche di un’attività parlamentare finiana non immune da scatti d’orgoglio. In Bocchino esistono due tempi distinti, un “a.M” e un” d.M”: avanti Meloni e dopo Meloni. Prima egli era un pellegrino in cerca dell’agnizione, dopo egli ebbe a vedere la Luce. E quella luce era Donna Giorgia.
– Bocchino è un uomo totalmente privo di contenuti. Non sa nulla di nulla, e anche per questo è onnipresente nei migliori talk di La7. Lui crede che lo scelgano perché è bravo, ma non gli viene mai il dubbio che lo preferiscano ad altri perché le sue tesi sono così improponibili e ad minchiam che, per contrasto, tutti risultano più credibili di lui (Tutti tranne uno: Renzi. Quando Formigli li ha messi uno contro l’altro, gli spettatori non hanno potuto che sperare metaforicamente in un asteroide liberatorio).
– Non avendo contenuti, ma solo una discreta dialettica e una sconfinata faccia tosta da provocatore greve, Bocchino si limita a ripetere ogni volta il solito plot: recitare a pappagallo la linea di Fratelli d’Italia su qualsiasi tema; negare l’evidenza; frignare perché nessuno lo fa parlare in salotti dove è “sempre in minoranza”; ricordare che Meloni ha vinto le elezioni e nei sondaggi è ancora alta, dunque ha ragione lei a prescindere poiché benedetta dal lavacro popolare; infine, quando persino lui si rende conto che sta sparando delle boiate che neanche un daino sott’acido, parte con l’attacco personale a chi si trova davanti.
– Quest’ultima prassi, ormai consolidata e anzi virilmente (?) ostentata, viene adottata con tutti coloro che lo bastonano dialetticamente senza fatica (e del resto zittirlo è più facile che dribblare Acerbi). Negli ultimi mesi Bocchino ha colpito sotto la cintura un sacco di gente, da Padellaro a Rula Jebreal, da Travaglio a Landini, da Saviano (ovviamente non in presenza) a Piccolotti eccetera. Ne è sempre uscito con le ossa rotte, ma ha fatto finta di non accorgersene, magari poi andando pure a casa e dicendo agli amici (se ne ha) che ha vinto lui e li ha messi sotto tutti. Ciao core.
– Pochi giorni fa Bocchino ha insultato anche Michela Murgia. È la nuova frontiera del bocchinismo (con rispetto parlando): dileggiare anche chi non c’è più. Son soddisfazioni.
– La reazione di chiunque abbia sale in zucca e amor proprio, di fronte alla caricaturale propaganda adulatoria di Bocchino, è quella di mandarlo a quel paese senza passare dal via. Lo ha fatto Massimo Cacciari durante una puntata mitologica di Accordi&Disaccordi, e nel farlo ha dato voce ai vaffa di milioni di italiani (a stare bassi).
– Se l’onestà intellettuale fosse acqua, Bocchino sarebbe il deserto del Gobi. Per lui Meloni è la Luce, è la Madonna, è il Nobel per l’Economia in pectore. Siamo ormai al “non avrai altro Dio all’infuori di Donzelli”. Vamos!
– La sua attività servile nei confronti del governo non conosce sosta. Pur di compiacere l’esecutivo attuale, direbbe pure che la Santanché è Madre Teresa di Calcutta. Bocchino sancisce in questo senso uno scatto ulteriore rispetto a precedenti aedi del potere come Fede e Bondi, di cui è la versione più incarognita e al contempo tragicomica.
Quella di Italo B(alb)occhino è quindi una vera e propria vita da vassallo, che gli ha permesso di stare sulle palle a tutti. Probabilmente anche alla Meloni stessa. Daje Italo!

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