lunedì 7 aprile 2025

Che belpaese!

 

Sanità, Lega&C. scaricano i malati non autosufficienti
DI GAIA SCACCIAVILLANI
Senato. Un emendamento del Carroccio farà pagare ai Comuni e alle famiglie i costi socio-assistenziali dei pazienti gravissimi
In Senato Lega e Fratelli d’Italia sono riusciti nell’impresa: tagliare il bilancio sanitario lasciando fuori qualcuno, i più gravi. L’ultima parola spetta al governo, ma se andasse in porto per il Servizio sanitario nazionale sarebbe un pessimo precedente. A Palazzo Madama è in corso uno scontro sul tentativo di tagliare l’assistenza ai non autosufficienti, mascherato da emendamento a una norma su argomenti contigui. Si tratta del ddl 1241 sulle “Misure di garanzia per l’erogazione delle prestazioni sanitarie”, fermo in commissione Bilancio in attesa di una relazione tecnica del governo su alcuni emendamenti. Come quello con cui la senatrice leghista Maria Cristina Cantù, sostenuta da Fdi, ha ottenuto di inserire una modifica all’articolo 30 della legge 730 del 1983 per separare le spese per le prestazioni sanitarie da quelle socio-assistenziali, anche quando sono strettamente connesse come avviene nella non autosufficienza, in modo che restino a carico del fondo sanitario nazionale solo le prime.
Si tratta di servizi di cura alla persona come la nutrizione del paziente con il sondino, la mobilizzazione di malati neurologicamente compromessi o l’igiene di persone allettate con piaghe. Situazioni nelle quali è molto difficile capire dove finisce il sanitario e inizia il socio-assistenziale. Tanto che i livelli essenziali di assistenza, invece di una separazione delle due categorie voce per voce, prevedono delle spartizioni forfettarie dei costi. Per esempio per gli anziani lungodegenti non autosufficienti dividono la retta a metà tra il Servizio Sanitario e il paziente (o il Comune, se il paziente non ce la fa). In alcuni casi specifici, in cui la gravità è tale che tutte le prestazioni svolte per il paziente sono nella sostanza sanitarie, la quota a carico del paziente (o del Comune) si azzera.
Le norme sono molto chiare, eppure vengono spesso violate in scioltezza, sia per la copertura al 50% che per i pochissimi al 100%. Nel primo caso è una rarità che la quota a carico del paziente sia pari al 50%. In molte Regioni la quota a carico della Asl non viene pagata perché le liste d’attesa non scorrono, dato che i letti spesati sono meno di quelli che servono. Per esempio in Toscana, a marzo, c’erano 1.800 persone in lista d’attesa e in Liguria e Lombardia ci sono circa 5.000 posti letto non a contratto. Senza contare il “sommerso”: si fa di tutto per evitare che le liste d’attesa si allunghino troppo, anche rallentare la presa in carico del paziente con la visita multidisciplinare. E le famiglie? Aspettano o pagano il 100%, in attesa di poter usufruire del posto al 50%, ma a questi ritmi può passare anche un anno e chi non può permetterselo è disperato.
Ne sa qualcosa il signor Marco Primini di Firenze, che racconta di non sapere più dove sbattere la testa perché i risparmi della mamma sono quasi finiti, ma lei non è ancora entrata in convenzione e lui – sessantadue anni, interinale part time in scadenza a settembre – non sa dove trovare i soldi per la retta della struttura in cui l’ospedale ha mandato la signora un anno fa.
Se questa è la situazione standard, figuriamoci il target dell’emendamento, i 100% sanitari, che per essere riconosciuti tali nel 99% dei casi devono andare in tribunale. Lo fanno in molti in Lombardia, dove l’emendatrice Cantù è stata assessore alla famiglia nella giunta Maroni con delega ai servizi sociosanitari. Qui soltanto tra il 2018 e il 2024 sono arrivati in Cassazione 17 ricorsi, 16 dei quali si sono chiusi con il riconoscimento al paziente del diritto alla copertura del 100% della quota di degenza. La Lombardia ha anche il primato di ben tre sentenze che hanno riconosciuto che al paziente era stata accollata una quota più alta del 50% di sua pertinenza. Eppure è la stessa Regione a fissare alcuni punti fermi nei suoi atti formali. Per esempio nella delibera di giunta del 25 febbraio 2019 si legge che “le prestazioni erogate nelle unità di offerta socio sanitarie sono caratterizzate da una forte connotazione sanitaria” e “dalla ulteriore inscindibilità tra prestazioni sanitarie e assistenziali”. Cioè quell’inscindibilità che l’emendamento Cantù vuole cancellare e con lei tutte le pendenze giudiziarie.
Il testo approvato prevede che nella legge del 1983 la frase “sono a carico del fondo sanitario nazionale gli oneri delle attività di rilievo sanitario connesse con quelle socio-assistenziali”, sia sostituita da “sono a carico del fondo sanitario nazionale esclusivamente gli oneri delle attività di rilievo sanitario, anche se connesse con quelle socio-assistenziali”. E precisa che, fatta salva la quota di compartecipazione del 50% prevista dai Lea del 2017, a suo dire aumentabile al 70% nei casi di alta complessità assistenziale, “sono a carico del fondo sanitario nazionale esclusivamente gli oneri delle prestazioni di rilievo sanitario”. Non c’è piano terapeutico o tribunale che tenga: la norma si applicherà “anche agli eventuali procedimenti giurisdizionali in essere alla data di entrata in vigore della presente legge”. Il tutto senza distinguere con una lista cosa è sanitario e cosa no e in quali situazioni.
Il taglio, che inizialmente era rivolto a tutti, riguarda solo chi si trova nelle condizioni peggiori, i 100% appunto, ma pone le basi per mettere in discussione il diritto alle cure per tutti i non autosufficienti. L’emendamento potrebbe poi finire con il complicare molto le cose per chi deve programmare gli stanziamenti, visto che si tratta di separare ciò che riteniamo inseparabile da 40 anni. Così il saldo positivo per le Regioni non è scontato, a meno che non si abbiano conti molto alti da pagare per sentenze sfavorevoli. Senza contare i Comuni e le famiglie.

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