Non abbiamo bisogno di alibi
di MICHELE SERRA
Il ministro Nordio, dati alla mano, non può non sapere che il femminicidio non è un problema “esotico”, legato alla «diversa sensibilità di alcune etnie». È un problema fortemente autoctono, evidentemente legato anche alla «etnia» italiana. Si capisce che, se il ministro Nordio avesse maggiore dimestichezza con le parole (le parole sono importanti: a proposito, auguri Nanni Moretti! Siamo con te!), non avrebbe detto «etnie», avrebbe detto “culture”. Esistono, effettivamente, culture meno sensibili alla parità dei generi e al rispetto della libertà delle donne. Culture nelle quali la religione, intesa come Regola, certo non come spiritualità, ha un peso importante, e nefasto. Ma indugiare su questo aspetto, che pure ha una sua rilevanza in epoca di globalizzazione, rischia di sembrare un alibi.
E di tutto abbiamo bisogno, tranne che di alibi. Nordio, che è ministro della Giustizia, segua qualche processo che vede ragazzi ammazzare ragazze pur di non riconoscerne la libertà di esistere anche al di fuori del controllo maschile. Legga qualche incartamento. E scoprirà che il problema è nostro, tutto nostro, abita nelle nostre case e nelle nostre famiglie.
Non è un vizio “importato”, è un conto che abbiamo lasciato in sospeso con noi stessi. A un’apparente, perfino esagerata libertà dei costumi, non ha corrisposto una riflessione sostanziale su che cosa davvero significhi, “libertà”. Su quale sia il prezzo della libertà, che non è mai gratuita. Chi uccide una donna, perché non sopporta la sua libertà, è qualcuno che non ammette, non accetta di pagare il prezzo della libertà. La libertà non è mai gratis. Questo bisogna spiegare ai ragazzi. Altro che «etnie».
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