mercoledì 2 aprile 2025

Ineccepibile

 

Calenda, politico fallito pompato da tutti i media
DI DANIELA RANIERI
Tecnicamente Calenda è un politico fallito. Breve storia di Calenda: giovanissimo impiegato nella Ferrari di Montezemolo, che è amico di papà, poi in Sky, indi assistente del presidente in Confindustria, si innamora di Italia futura, si candida con Scelta civica di Monti e non viene eletto, diventa viceministro di Letta e Renzi, poi dallo stesso Renzi è fatto Rappresentante permanente presso la Ue (230 diplomatici insorgono con Renzi: “Non ci s’improvvisa ambasciatori”), dunque de plano ministro allo Sviluppo economico; prende la tessera del Pd, si fa eleggere al Parlamento europeo coi voti del Pd ma con un simbolo proprio (“Siamo europei”); pochi mesi dopo, alla formazione del Conte-2, lascia il Pd con una piazzata da sciantosa, cambia nome al suo partito (“Azione”) restando beninteso europarlamentare del Pd, spalleggia Renzi alle Regionali al solo scopo di togliere voti al Pd, si candida a fare il sindaco di Roma pretendendo i voti del Pd, comincia a girare le inesplorate periferie di Roma importunando gli indigeni affinché lo votino, arriva terzo su tre, annuncia che non farà il consigliere comunale, buttando a fiume 220 mila voti di romani, salvo poi ripensarci, salvo poi ri-ripensarci e rinunciare (il suo slogan era: “Roma, sul serio”), si mette in proprio, imbarca le berlusconiane Carfagna e Gelmini, diventa draghiano importando nel programma di Azione l’invisibile “Agenda Draghi”. Tanta coerenza va premiata: nel 2022 Letta gli apre le porte del Pd, si baciano in pubblico. I giornali negli anni lo hanno talmente gonfiato (febbraio 2019, titolo di HuffPost: “Calenda punta a superare il 30% alle Europee”) che ha finito per crederci anche lui; quando i sondaggi interni gli presentano un misero 5-6%, dopato pure dalla sovraesposizione, fa marcia indietro. “Mi pare che l’unico alleato possibile per Calenda sia Calenda”, twitta Enrico Letta; una battuta sagace su uno che fino a un minuto prima voleva come alleato al punto da regalargli il 30% dei seggi (in effetti Calenda su Twitter ha il 30%), perché Carlo sarebbe stato un “magnete per i voti di centrodestra”. Lasciato Letta, Calenda si sente di non essere più di centrosinistra ma di centro estremo e si mette con Renzi, che gli sembra un giovane promettente (“Renzi è inaccettabile sul piano etico” e “mi vergogno di aver lavorato con lui”, aveva detto tempo prima). All’insegna dell’elogio del merito e della cancellazione del Reddito di cittadinanza (il figlio di papà col culo al caldo odia i fancazzisti), fondano il “Terzo Polo”, che poi è Sesto anche se i giornali continuano a chiamarlo Terzo per accarezzare l’ego straripante dei due, che sommato dà il 78% anche se poi portano ciascuno tra il 2 e il 3% dei voti, buttali via. Verificata una certa incompatibilità caratteriale, si separano civilmente: Calenda: “Io non ho mai ricevuto avvisi di garanzia/rinvii a giudizio/condanne, non ho accettato soldi da dittatori e autocrati stranieri, da speculatori stranieri e intrallazzatori”; Renzi lo ignora, ma La Stampa “ruba” una sua frase: “Calenda è pazzo, ha sbagliato pillole”). Quindi Carlo si vota alla causa bellicista atlantista e porta in Tv la sua strenua opposizione al governo Meloni: “La posizione di Meloni nei confronti degli Stati Uniti è da italiota”, “una nuova tipologia del fascio codardo”, senza contare che Meloni “per tutta la sua vita ci ha rotto i coglioni con la dignità nazionale e la forza della nazione”. I giornali ci credono molto: chiamano Renzi e Calenda “l’opposizione”.
Ed eccolo l’altro giorno, al congresso di Azione (che poi è composto da Calenda e da qualche altra frattaglia politica, tipo l’ex renziano Rosato; se ne sono andate pure le berlusconiane), inveire istericamente contro il M5S per il diletto dell’ospite d’onore, una ridanciana Giorgia Meloni accompagnata dai suoi pretoriani.
Questa coerente, tetragona biografia dà a Calenda l’agio di definire Conte un “trasformista”. E di scegliere, dopo aver tentato una carriera prima nel centrosinistra, poi nella sinistra, poi nel centro, l’ultima opzione che gli era rimasta: fallire anche nell’estrema destra. Ah: la cosa divertente è che Enrico Letta si fiondò su questo pompatissimo fenomeno mediatico, che con la sua quota di liberalità “centrista e riformista” avrebbe portato la socialdemocrazia nel Pd, per “non lasciare il Paese alla Meloni”. La quale, pur di rimpiazzare il bollito lesso Salvini, evidentemente si accontenta pure di Calenda, sperando che con il suo partito di plastica e le sue bizze da ricco possa portare un gruzzoletto di voti, magari quelli dei residenti dei quartieri a nord di Magliana-Garbatella. In fondo condividono l’amore per le armi (premio della critica a Crosetto che si alza in piedi ad applaudire il leader dei Parioli che vuole “cancellare il M5S” come uno zio ubriaco al momento del brindisi a un matrimonio) e la grande truffa liberale del “merito”. E il merito va premiato.

Nessun commento:

Posta un commento