Non è successo niente
di Michele Serra
Comincia a diventare avvincente, con veri e propri casi di virtuosismo, lo spettacolo “Non è successo niente”, che vede i governanti italiani minimizzare gli effetti dei dazi di Trump sull’economia mondiale (quella americana compresa).
Magnifico, al Tg2, il fratello d’Italia Scurria (una new entry, si direbbe) che, con il volto terreo, dichiara che «il governo è impegnato a evitare guerre commerciali», come se nessuno lo avesse avvertito che la guerra già divampa e le Borse hanno accolto i dazi con lo stesso ottimismo con il quale accolsero il Covid.
Fa l’effetto di uno scampato a un bombardamento aereo che, uscendo dalle macerie, si scrolla la polvere dal pigiama e dichiara di essere fermamente intenzionato a evitare i bombardamenti aerei. Ipotesi alternativa (e di alleggerimento per Scurria): l’intervista risale a qualche mese fa, giaceva da mesi in un deposito di file inutili ed è stata mandata in onda per errore.
Di spicco anche la performance di Bruno Vespa, la cui fase senile coincide con una impressionante recrudescenza dello zelo filogovernativo. Prima era un governativo curiale, ora sembra una specie di vietcong meloniano, disposto a tutto, anche all’assalto all’arma bianca. L’impatto mondiale dei dazi, nel suo raccontino serale, è il modesto aumento di prezzo di una pizza a New York, un dollaro o due, mica cadrà il mondo…
Trattare è la parola d’ordine, il pensiero magico, il mantra che salva. Anche Tajani, facilitato dalla romanità paciosa, si dice fiducioso nelle trattative. La domanda sarebbe: quali? Rischiano di rimanerci male quando, recandosi alle trattative, scopriranno che Trump non ha mandato nessuno. Tratteranno in famiglia sul prezzo della pizza.
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