Henry e Jimmy chi?
di Marco Travaglio
Nel giro di poco più di un anno gli Usa hanno perso i loro centenari più illustri: Henry Kissinger e Jimmy Carter. L’ex segretario di Stato di Nixon e Ford e l’ex presidente, entrambi Nobel per la Pace, erano agli antipodi: un figlio di puttana di grande successo e un sant’uomo di grande insuccesso. Ma su un punto si trovavano d’accordo (come ogni politico e diplomatico normodotato dell’epoca): si parla con tutti, amici e nemici, e si negozia col nemico perché nessuno può sceglierselo. Ieri, come a Kissinger “uomo del dialogo con la Cina”, i giornali pullulavano di elogi a Carter “presidente della pace”: quella di Camp David che nel 1978 chiuse la guerra dei 30 anni fra Israele ed Egitto con le firme di Begin e Sadat. Questo nelle pagine pari. Poi, in quelle dispari, le solite minchiate sulle guerre attuali: sconfiggere Russia e Cina, mai parlare con Putin, non si tratta col nemico, il negoziato sarebbe una resa, serve la “pace giusta” (quella imposta da chi perde la guerra a chi la vince). Fa eccezione Israele, che può invadere e sterminare chi gli pare.
Intanto si tratta con Hamas ed Hezbollah, con l’Iran e il Qatar che li finanziano, coi talebani, con l’Isis e al Qaeda in Siria e, per ridurre la dipendenza da gas e petrolio russi, si pagano profumatamente regimi uguali o peggiori di Mosca: Egitto, Algeria, Angola, Arabia, Azerbaigian, Congo, Emirati, Turchia. Ma con la Russia non si può. A costo di condannare a morte l’economia europea, buttiamo i soldi rimasti in armi inventando imminenti invasioni russe senza senso né movente, regaliamo a Putin mezza Africa, facciamo campagna elettorale gratis a tutti i partiti fascisti e antieuropei e, quando vincono, diciamo che non vale perché “ha stato Putin” o “ha stato Tik Tok”. Dopo aver seguito Rimbambiden fino all’ospizio senza obiettare un monosillabo con un filoamericanismo alla Nando Mericoni, ora che Trump vuol chiudere la guerra persa e normalizzare i rapporti con Mosca per sganciarla da Pechino, l’Ue si scopre antiamericana e muore dalla voglia di finanziare in esclusiva il conflitto infinito. E gl’intellettuali, anziché smascherare le imposture di Bomberleyen, Rutte e sgovernanti al seguito, gliele suggeriscono. “Kiev perde perché non la aiutiamo abbastanza” (che saranno mai 300 miliardi di dollari in tre anni): ma la controffensiva del 2023 fallì nel momento di massimo invio di armi e soldi. “La resistenza ucraina vuol continuare a combattere”: ma i sondaggi dicono l’opposto, i reclutandi fuggono o si mutilano e i soldati disertano dal fronte. “Urge rafforzare la leadership di Zelensky”: ma spetta agli ucraini scegliersi il presidente, peraltro scaduto a maggio. Kissinger e Carter, nell’aldilà, non sapranno se ridere o piangere.
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