lunedì 5 agosto 2024

A lezione

 

Parigi, l’Ultima cena olimpica è diventata la cena dei cretini
UNA GARA SULLE SCIOCCHEZZE - Corsi e ricorsi. Nessuno stupore: tutti i fascismi hanno la coazione al controllo dell’arte. La censurano, la proibiscono, potendo la bruciano come degenerata
DI TOMASO MONTANARI
Il “dibattito” politico-mediatico sul tableau vivant queer messo in scena da Thomas Jolly, all’interno della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi parigine, è davvero da incorniciare. Non certo per la qualità della performance, evidentemente non memorabile: ma per la quantità di sciocchezze e solecismi profusa dai commentatori, e soprattutto per il riflesso condizionato totalitario emerso lampantemente nei commenti dei ‘politici’.
Innanzitutto, gli equivoci iconografici: “‘è l’Ultima cena di Leonardo!”, “‘no, è un banchetto degli dèi del Seicento!”, “no, dell’Ottocento!”, “è pagano!”, “no, è cristiano!”… La pretesa dell’individuazione di una fonte precisa – rigorosamente individuabile solo se presente su Google Images, si badi – è una gigantesca ingenuità, frutto di una perdita di contatto con la storia della nostra cultura: in altre parole, una forma di radicale ignoranza. Un’ignoranza che è l’altra faccia della coazione alla censura manifestata dalla destra europea, che pensa di difendere una identità che, semplicemente, non è quella che credono loro. Mi spiego. Tutti i “banchetti degli dei”, citati in questi giorni (a partire da quello dell’artista del Seicento olandese Jan Harmensz van Bijlert), sono a loro volta ispirati all’iconografia dell’Ultima cena cristiana, e spesso proprio alla fortunatissima, autorevole, invenzione leonardiana: e non certo per una volontà blasfema, ma per quella libera circolazione delle formule iconografiche che ha sempre permesso agli artisti di ibridare l’iconografia della mitologia cristiana con quella della mitologia pagana. Libertà degli artisti, ma anche sensibilità delle tradizioni figurative a un dato ovvio per l’antropologia delle religioni: i nessi profondi tra la figura del Cristo e quella dei vari dèi variamente uccisi e risorti, da Osiride ad Adone, nei miti e nei riti che si compiono intorno alla luna piena di primavera (Pasqua inclusa), un tema consegnato alla modernità dal poema fondativo Terra desolata di T. S. Eliot. Thomas Jolly è solo l’ultimo, e certo non il più grande, creatore di immagini che abiti (magari senza saperlo) in un flusso di immagini che si incontrano, si scambiano, si fondono da millenni. Insomma, il cristiano e il pagano, il sacro e il profano, usano gli stessi schemi figurativo-simbolici: e non lo fanno per caso. Fa dunque davvero sorridere lo zelo con cui giornalisti di oggi (per esempio in una pagina di Open dedicata al fact checking) vogliono dimostrare che Jolly si è ispirato a van Bijlert e non piuttosto a Leonardo, argomentando intorno al fatto che al tavolo parigino c’erano sedici figure e non invece tredici come nei cenacoli…
Ecco i rischi della retorica del debunking e delle fake news in tempi di crollo verticale di cultura storica, e umanistica in genere. Questa terra desolata culturale, del resto, è la stessa che rende possibile che un Matteo Salvini sia vicepresidente del Consiglio dei ministri della Repubblica italiana. E dunque non sorprende per nulla che proprio Salvini si sia scagliato per primo contro il tableau, scrivendo: “Aprire le Olimpiadi insultando miliardi di cristiani nel mondo è stato davvero un pessimo inizio, cari francesi. Squallidi”. Il capo della Lega allegava al tweet un confronto fotografico tra l’immagine francese e il Cenacolo leonardiano, riprodotto però non nell’originale, ma in una dozzinale copia in vendita sul web: tipica performance da Cazzaro verde (per dirla con Andrea Scanzi), utile per misurare la turpe ridicolezza di uno che vuole difendere a tutti costi una tradizione culturale che dimostra di non conoscere. Carlo Fidanza (quello dei saluti romani e degli “Heil Hitler”) ha tuonato contro la “baracconata morale”, e l’amichetto ungherese Victor Orbán ha detto che l’opera francese dimostra “l’assenza di moralità pubblica”, e nientemeno che “la perdita dei legami metafisici con Dio, patria e famiglia”. Nessuno stupore: tutti i fascismi hanno la coazione al controllo dell’arte (e il punto non è la qualità della singola manifestazione artistica attaccata): la censurano, la proibiscono, potendo la bruciano, giudicandola “degenerata”. Stupisce di più la reazione delle gerarchie ecclesiastiche, sempre sul chi vive quando si mettono insieme simboli cristiani e discorsi sull’omosessualità (forse perché la gerarchia vuole l’esclusiva, commenta genialmente un mio amico prete).
I commenti sdegnati di vescovi americani e francesi appaiono francamente fuori centro quando si rammenti che proprio l’Ultima cena è il luogo e il momento del comandamento dell’amore, l’unico comandamento della Nuova alleanza. E l’amore non ha confini. D’altra parte, i politici “cristiani” che oggi tuonano contro il Cenacolo queer sono gli stessi che brandiscono i rosari mentre fanno affogare nel Mediterraneo i poveri Cristi. È normale: chi non ama la libertà dell’arte, non ama nemmeno le persone: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti…! Serpenti, razza di vipere!» (Matteo 23, 13 e 33).

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