martedì 27 agosto 2024

Lectio

 

Io sono la via la verità, la vita E il desiderio
Nel nuovo saggio Massimo Recalcati racconta il debito profondo della psicoanalisi verso le Scritture E qui spiega come Gesù ha saputo unire la legge e l’amore
DI MASSIMO RECALCATI
Uno fuori di sé, un falsario, un truffatore, un demone a capo di altri demoni, un delirante, un narcisista, un falso profeta, un esaltato, un beone e un mangione, un frequentatore di prostitute e di ladri, un malfattore, un impostore. È questo il ritratto di Gesù che possiamo ricavare dal giudizio dei suoi nemici: scribi, dottori della Legge, sacerdoti del tempio. Gli uomini religiosi non sanno, infatti, cosa significa spendere tutta la propria vita nell’amore, non sanno cosa significa desiderare e amare la vita.
Il loro risentimento li avvelena, la loro impotenza li intossica, la loro tristezza li inaridisce. Essi non hanno possibilità di pensare all’evento dell’impossibile che irrompe e sovverte l’ordine già stabilito dell’esistenza ricostituendolo come nuovo. La loro ipocrisia cinica non permette di aver fede nel miracolo del desiderio. Piuttosto li impegna in un’opera permanente di diffamazione e di demolizione di chi invece incarna l’impossibile che diviene possibile. «Cosa c’è in un nome?» si chiedeva Stephen Dedalus, uno dei due protagonisti dell’ Ulisse di James Joyce. In quello di Gesù c’è il segreto che lo contrassegna. Nella lingua ebraica, Yeshua significa, infatti, il Dio che salva. La sua parola ha la forza di un magnete irresistibile, trasporta, smuove, erotizza, causa il desiderio, assomiglia a un fuoco sempre acceso, salva mostrando che la verità non è già tutta scritta nella Legge, ma attende di farsi ogni volta vera nella dimensione incarnata della testimonianza. Sono gli atti che Gesù compie a rendere possibile la salvezza su questa terra.
Senza questa testimonianza di cura per chi è nella sofferenza e nella tristezza, nella povertà e nell’abbandono, nella tribolazione e nella disperazione, ma anche per chi si trova nell’ipocrisia e nell’avidità, nella conservazione ottusa dei propri beni e nel rifiuto dell’amore, il destino che egli porta nel suo nome non si sarebbe realizzato. Per questo il suo primo e decisivo passo consiste nel risignificare il rapporto tra la Legge e la vita. Se, infatti, la Legge tende a estirpare il desiderio dalla vita, essa si inaridisce, si svuota, si indurisce, resta senza cuore, diviene una norma repressiva che non agisce più al servizio della vita, ma al servizio della morte. Nello stabilire una nuova alleanza tra la vita del desiderio e la Legge Gesù non rinnega la Legge di Mosè ma la eredita pienamente, ovvero, come scrive Matteo, la conduce al suo pieno «compimento» (Mt 5,17). Gesù è un giudeo, la sua predicazione risulterebbe incomprensibile se non si considerassero le sue radici ebraiche e la sua profonda conoscenza della Torah. È il movimento che impegna ogni erede degno di questo nome. Lo ricorda Freud al termine della sua opera, citando Goethe: «Ciò che hai ereditato dai padri, riconquistalo, se vuoi possederlo davvero».
L’eredità non è un’acquisizione passiva di rendite, ma un salto nel vuoto, un movimento in avanti, una ripresa, uno slancio verso l’avvenire. La Legge per essere ereditata nella sua sostanza deve essere riconquistata. È questa la cifra più propria del magistero di Gesù: nessuna cancellazione del debito simbolico, nessun rigetto della sua provenienza, nessun rifiuto della Legge. Non per nulla nella Legge di Mosè il comandamento neotestamentario più decisivo, quello dell’«amore per il prossimo », si trova già scritto (Lv 19,34). È, infatti, proprio a partire dalla centralità di questo principio che Gesù rilegge la Bibbia: ama il tuo prossimo, lo straniero, in quanto «anche voi foste stranieri in Egitto» (Es 23,9; Lv 19,34).
Ma che cosa significa allora portare a compimento la Legge se la Legge mosaica era già in se stessa esaustiva della verità della Legge? La riconquista dell’eredità di questa Legge avviene in Gesù attraverso l’affermazione inaudita dell’eccedenza della Legge del desiderio. È la tesi centrale di questo libro: la Legge non può limitarsi a interdire il desiderio perché il vero volto della Legge coincide proprio con quello del desiderio. È questo a impegnare Gesù sino alla fine dei suoi giorni: testimoniare che la Legge non è avversa al desiderio, non è il suo antagonista spietato, non è il suo censore severo, perché la Legge è, in realtà, il nome più proprio del desiderio, è il nome più proprio della vita viva, della vita sovrabbondante di vita.
Per questo il desiderio elevato alla dignità della Legge trova la sua massima espressione nella radicalizzazione operata da Gesù dell’amore per il prossimo che rompe ogni rappresentazione narcisistico- speculare dell’amore per divenire — al suo colmo più sconcertante — «amore per il nemico».
Formulando la tesi che il magistero di Gesù introduce l’idea che il desiderio sia Legge, evoco, in realtà, un grande tema freudiano, ripreso con forza da Lacan, le cui radici affondano nel logos biblico, ovvero quello del rapporto costituente tra Legge e desiderio. Il compimento cristiano della Legge consiste nel liberare la vita dalla Legge non opponendo più la Legge alla vita, ma iscrivendo la Legge nel cuore stesso della vita. La Legge viene riscoperta come espressione di una vocazione che sa dare forma nuova alla vita convertendo, come direbbe Lacan, la forza della pulsione nell’ordine etico del desiderio. Mentre ogni religione della Legge è nemica del desiderio — religione viene da religio che significa richiudere, recintare la potenza (dynamis ) affermativa del desiderio — la parola di Gesù libera il desiderio da ogni preoccupazione securitaria. In questo senso l’evento della resurrezione assume il valore della forza indistruttibile della Legge dell’amore e del perdono che riconsegna la vita alla vita sottraendola per sempre alla maledizione della morte.
Ogni volta che questa nuova Legge interrompe l’esercizio fustigatore della Legge c’è, infatti, resurrezione: la morte non può essere l’ultima parola sul senso della vita così come la Legge del castigo e del sacrificio non può essere l’ultima parola sul senso della Legge.

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