sabato 10 agosto 2024

Dal cuore ligure

 Monesteroli il paradiso scomodo dove il tempo si è fermato

DI MASSIMO CALANDRI
MONESTEROLI
Dicono che i gradini siano milleduecento. Dimentico sempre di contarli, no: mi ricordo, però ogni volta a Monesteroli c’è qualcosa che mi distrae. L’abisso di blu, giù in fondo. Il profumo dei ciuffi di finocchietto. Le radici di un fico selvatico, i chicchi d’uva: sono già dolci, a fine mese si vendemmia. Il sole brucia la pelle, il caldo ti fiacca. Sudore, silenzio. Bisogna fare attenzione a dove si mettono i piedi. I vecchi dicevano: «Mai sul bordo. Sempre alla base dello scalino, altrimenti si smuove. Ci vuole rispetto, per il lavoro di chi è venuto prima». Chissà quanti secoli hanno impiegato a camallarsi sulle spalle le pietre in arenaria, a lavorarle con lo scalpello («Ogni sasso ha otto facce: devi riconoscere quella giusta»), mentre gli altri paesani scavavano caparbi la roccia a picco sul mare.
Le Cinque Terre sono gemellate con la Muraglia Cinese, ma la vera meraviglia è qui, in quest’angolo sconosciuto ai cinque milioni di turisti che ogni anno affollano i borghi più noti. Resti di muretti a secco: da lassù e fino a dove il libeccio spinge le onde. Contadini equilibristi («Un piede per il mare, un altro per la terra»), fino a trent’anni fa sistemavano sui gozzi ceste di grappoli impolverati dal salino. O risalivano i gradini. Con rispetto e pazienza. Dalle loro casupole abbarbicate — minuscole cantine dove dormire in notti nere di stelle (scordatevi la luce elettrica) e all’alba quasi potresti tuffarti in mare, saltando direttamente dalla finestra — ci vuole un’ora e mezza, per raggiungere il primo posto pubblico: un piccolo bar per dissetarsi. Preferisco la fontana napoleonica del Nazzano, all’ombra dei castagni. Un altro quarto d’ora a piedi per Monte Telegrafo: di lì passa la corriera. Milleduecento: la scala del paradiso, così la chiamano. Ma il paradiso è scomodo: lascia perdere subito, o fermati qui per sempre. «Muoviti»: Luca e Massimo sono nati in questa terra severa e incantata, che si sta sbriciolando. Passeremo il fine-settimana insieme. «Tra cinque anni sarà tutto perduto», mugugna Luca.
L’intera località si chiama Tramonti. Tra-monti, ovvero: tra i monti davanti a Biassa, alle spalle di Spezia. Paese crocevia della nostra storia: perché i contadini, eroi poveracci, venivano da lì. Tramonti, Parco delle Cinque Terre, patrimonio Unesco: nascosto a chi ogni anno sgomita tra Portovenere e Riomaggiore, Monterosso, Corniglia e Vernazza. La Via dell’Amore riaperta al pubblico, dieci euro di ingresso per procedere a senso unico? Non ci interessa. Tramonti, dunque, e cinque nuclei di casupole che per centinaia d’anni hanno fatto da cantina, rimessaggio per gli attrezzi, stalla, rifugio dalle fatiche: Fossola, Persico, Pineda, dove da tempo hanno cominciato a recuperare vigne e rifugi abbandonati; poi Schiara e Monesteroli, così selvagge — asserragliate tra le rupi e il mare, scriveva Montale — che solo in pochi hanno il coraggio di provarci.
Luca e Massimo, vecchi amici, volontari di un’associazione che recentemente ha ripreso tremila metri di terreni. Viticoltura verticale,eroica. Producono 1.500 b ottiglie di un buon bianco, il Cimento: non copre le spese della banda virtuosa, ma fa bene all’orgoglio. Passiamo per i piccoli campi d’uva: Bosco, Trebiano, Albarola, un po’ di Vermentino. Sono già stanco, voglio fare un tuffo. «Come Byron e Shelley». Ma a Monesteroli l’accesso al mare è franato da due anni. Allora ci incamminiamo verso Schiara: ancora mille gradini, a levante. Lungo il sentiero, una casa minuscola e screpolata. Ospita una giovane coppia parigina, con una bimba: lui, professore alla Sorbona.«Quindici anni fa siamo arrivati alle Cinque Terre, dopo cinque minuti siamo scappati. Raggiungere questo posto è complicato. Ma che pace, che bellezza». Per l’ultimo tratto, fino agli scogli, Massimo mi allunga una bottiglia d’acqua e un bastone.
Il bagno, un premio meritato: dal mare, la collina toglie il fiato per l’emozione. Non è mai stato un posto per pescatori: ci si arrangiava grattando i muscoli (quelle che voi chiamate cozze) dalle rocce, catturando qualche polpo e piccole aragoste. «Da vent’anni non sitrova più nulla».
Mi raccontano la storia di uno detto Prete, che quasi un secolo fa voleva organizzare un banchetto per il battesimo della prima figlia e aspettò da questo scoglio l’arrivo dei pesci più grossi, prima di lanciare dell’esplosivo trafugato dalle cave. Morì per il botto. A 22 anni, la vedova si ritrovò a gestire 105 piccoli campi d’uva di Tramonti. Tutta la vita a salire e scendere i gradini.
Era la nonna della moglie di Massimo, che dopo un’ora a sguazzare ci porta nella sua casetta di Schiara: sul balconcino, divoriamo la focaccia del forno di Biassa. Spessa, il bordo croccante. «Da qui, ha un altro sapore». Ci vogliono due ore per tornare su e ridiscendere a Monesteroli. La scala del paradiso: non me la ricordavo così ripida. Finalmente, la vecchia casupola della famiglia di Luca. Spazi ridottissimi: bagno spartano, fornelletto, scala ripida in legno, soppalco. Un materasso per terra, un letto a castello. È una reggia. Mi godo la baia dalla veranda. «Ma se non ci ridanno l’accesso al mare, e noi da soli non ce la possiamo fare, tra poco spariremo dalle mappe». Negli zaini, l’occorrente per una piccola grigliata. Bruciamo legna sul pavimento davanti all’ingresso. Siamo a cena da Maura e Gabriele il meccanico, 82 anni entrambi. Gente di Biassa, due casette più in là. Alla nostra carne aggiungono pomodori, capperi, due bottiglie gelate (il frigo è alimentato da un pannello solare) del vino del loro terreno più sopra: si chiama Rinforzà, è simile («Molto meglio») al prestigioso Sciacchetrà. Gabriele sorride: «Ho dimenticato le medicine». Domattina risalirà fino a Monte Telegrafo.
Oggi è sceso con in spalla una bombola di gas da 33 chili. C’è luce abbastanza per bere l’ultimo bicchiere. Poi è il buio, quello vero. Le nostre Olimpiadi in tv sono i lampi di una burrasca al largo. Soffia un po’ d’aria fresca. Ci buttiamo in branda. Sfiniti, felici. «Vedrai, che alba».

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