domenica 28 luglio 2024

L'Amaca

 

Un reality al quale non siamo iscritti
DI MICHELE SERRA
Ma come è possibile che il colloquio di un carcerato con i genitori, privo di qualunque rilevanza giudiziaria, finisca sui giornali? Sono io che non capisco più come funziona il mondo dei media (ipotesi da non escludere) o è il mondo dei media ad avere perduto ogni scrupolo, e un clic in più vale qualunque intrusione?
Filippo Turetta ha commesso un delitto atroce del quale si conosce ogni dettaglio, ogni risvolto psicologico, ogni colpo inferto a Giulia Cecchettin. Se ne è parlato per mesi, e soprattutto grazie alla sorella e al padre della vittima se ne è parlato con limpidezza e lucidità: come di un delitto a suo modo “politico”, non un fattaccio da sbattere in prima pagina per pura morbosità. Ne è seguita una grande e speriamo utile ricaduta nel dibattito intorno ai generi, i maschi fragili e violenti, le femmine stanche di pagarne il prezzo.
Non esiste ulteriore necessità di prova, non esiste dubbio, tutto è tragicamente chiaro, il movente, l’esecuzione, il furibondo accanimento. Perché rendere pubblico, mesi dopo il delitto, quello che dicono all’assassino il padre e la madre visitandolo in carcere, una prevedibile, pietosa, ordinaria, inevitabilmente ipocrita forma di soccorso che i genitori cercano di offrire al figlio assassino? Non ho idea di cosa direi a un figlio in galera, probabilmente le solite strazianti balle che gli servirebbero a conservare un lumicino di fiducia nel futuro; certo considererei una odiosa violenza che qualcuno (esclusi gli inquirenti) leggesse nero su bianco le mie parole. C’è ancora qualcosa che, per rispetto umano, può rimanere privata, o siamo destinati a vivere come i concorrenti di un gigantesco reality al quale non ci siamo mai iscritti?

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