A volte basta poco, altre volte tragedie come quella di Mestre, per farci riflettere sull'esistenza, sul destino, sulla precarietà della vita, sull'apparente ingiustizia, su quest'epoca proiettata verso un futuro sempre più labile, indefinito, palesemente friabile.
Questa famiglia rumena ad esempio: scomparsa nel disastro, dissolta per cause ancora da accertare dopo una vita di sacrifici, di lotte col pensiero di questo mondo, con la forbice distanziatrice di classi sociali sempre più squaleggiante. Si erano concessi un premio, una vacanza a Venezia, come quelle che vedevano in tv ammirandone i godimenti degli "altri", dei differenti da loro per status, conti bancari e carte striscianti. Ci fosse qualcuno, amico immaginario o motore, c'aggrotteremo il cuore per domandargli " ma proprio loro? Dov'è la logica in tutto questo?" E nel contempo ecco quell'altro gruppo di tedeschi che han deciso, magari discutendone animatamente tra di loro, di ritardare il viaggio di ritorno al campeggio di qualche ora, salvandosi dall'ecatombe. Come ci dovremmo raffrontare con questo destino scivoloso, con il pregnante "Sliding Doors"?
Come pula che il vento disperde, come il fiore del mattino che appassisce la sera: vorremmo, e sudiamo camicie per smentire, sminuzzare, ridicolizzare, dimenticare la nostra caducità, prefabbricandoci un mondo simil granitico ed immarcescibile in cui recitiamo la flebile parte dei "sempre giovani." Non è così. E la famiglia dissolta, che salutiamo con tanto affetto e nostalgia, ci ricorda, ci dona, il chiaro messaggio di vivere il nanosecondo prossimo nella completa pienezza e gustosità, unica diga per controbattere la labilità della nostra incastonatura su questo sasso blu disperso nella periferia di una delle innumerevoli galassie di questa piccola porzione dell'universo.
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