lunedì 23 ottobre 2023

Tomaso e il tesoro agnellineo

 

La collezione Gianni Agnelli sia un patrimonio dell’Italia
LA BELLEZZA NON SI PUÒ NASCONDERE - Le Soprintendenze si sono ben guardate dal porsi il problema della tutela dello straordinario patrimonio della famiglia dell’ex proprietario della Fiat
DI TOMASO MONTANARI
L’inchiesta condotta da Manuele Bonaccorsi e Federico Marconi per Report sulla collezione d’arte di Gianni Agnelli e dei suoi eredi ha messo in luce una gigantesca falla nella tutela del patrimonio artistico della nazione. Un elenco di opere, prima d’ora mai reso pubblico, e una serie di testimonianze (alcune imbarazzanti per la deontologia di storici dell’arte e funzionari dello Stato) hanno dimostrato che le Soprintendenze di Torino e Roma si sono ben guardate dal porsi il problema della tutela di uno dei complessi collezionistici privati più rilevanti dell’Italia del secondo Novecento.
Perché avrebbero dovuto? Plinio tramanda che di Marco Agrippa (che fu, tra l’altro, genero di Augusto) restava “un’orazione stupenda, e degna del più grande dei cittadini, intorno alla necessità di rendere di proprietà pubblica tutti i quadri e le statue, il che sarebbe stato meglio che mandarli, quasi in esilio, nelle ville”. Una frase che il grande archeologo Roberto Paribeni commentava così: “È l’affermazione di un principio che s’è andato man mano maturando nella legislazione italiana, fino ai tempi nostri”. Per permettere che, con la lentezza dei tempi storici, il patrimonio pubblico acquisisse i beni culturali privati, si è sempre pensato che la proprietà privata andasse temperata.
Per questo, fin dal Medioevo e poi sempre di più fino alle leggi di tutela del Novecento e alla Costituzione, il potere pubblico ha limitato i diritti di chi possiede “cose” che appartengono anche alla nazione, anzi all’umanità: se ho un Caravaggio, non posso distruggerlo (rischio fino a 5 anni), non posso nasconderlo, non posso esportarlo senza autorizzazione. Perché tutto questo divenga effettivo, le Soprintendenze possono accedere alle case dei collezionisti e verificare se vi siano opere degne di tutela pubblica, o addirittura collezioni da vincolare interamente.
Se l’avessero fatto con Agnelli, avrebbero scoperto una collezione strepitosa: almeno a stare all’elenco oggi reso pubblico da Report, e a giudicare dalla qualità eccelsa del pugno di opere che gli Agnelli hanno reso di pubblico godimento nella Pinacoteca del Lingotto, a Torino. Nella lista ci sono tavole rinascimentali (attribuite ai Bellini e a Neri di Bicci), statue ellenistiche, sculture barocche (Algardi, Collino…), sculture di Canova in gesso e in marmo, sei sculture di Henry Moore, e poi un fiume di tele e disegni del Cinquecento (da Bronzino a Beccafumi, da Raffaello ad Arcimboldo ), del Sei (Cerquozzi, Dandini, Furini, Van Dyck), del Settecento (Bellotto, Crespi, Cignaroli, David, Fragonard) e dell’Ottocento (il nucleo più incredibile: decine di Corot, Delacroix, Gericault, Ingres, Gustave Moreau e poi un Goya, e Fabre, Degas, Monet, Renoir e Cézanne, e Sargent…) e del Novecento (Balla, Carrà, Matisse, Magritte, Bacon, sei Klimt, gli Schiele…, i Picasso, Lichtenstein, Schifano, Wahrol). E sono solo alcuni. È appena il caso di notare che la nazionalità dell’artista non rileva in fatto di tutela: il patrimonio è della nazione per via storica, non per via di sangue. Lo dimostrano mille evidenze fattuali, storiche e giuridiche. Una per tutte: le collezioni del Museo Egizio di Torino sono patrimonio italiano, anche se evidentemente straniere.
Ora, cosa dovrebbe fare il Ministero della Cultura (non nel suo livello politico, a cui tutto questo non compete, ma nella sua direzione Archeologia, paesaggio e Belle arti)? Dovrebbe accedere fisicamente a tutte queste opere per accertarne la vera identità, e quindi verificarne lo status: distinguendo tra opere in Italia, opere in Italia ma in temporanea importazione, opere legalmente all’estero, opere (eventualmente) illegalmente all’estero. E poi dovrebbe sottoporre a tutela la prima e la quarta categoria (affidando ai carabinieri del Nucleo di tutela il tentativo di recuperare queste ultime, ove esistessero) ai sensi della lettera “e” del comma 3 dell’articolo 10 del Codice dei Beni culturali, che protegge “le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, … che per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse”. Dunque, un “vincolo” contestuale che protegga tutto ciò che rimane della collezione di Gianni Agnelli, in quanto tale: vista l’importanza e la vita pubblica (anche come senatore a vita della Repubblica) del proprietario.
Esisterebbe anche un’altra possibilità. E cioè che gli eredi Agnelli dicessero più o meno così: “La nostra famiglia ha molto avuto dall’Italia: in termini di denaro pubblico alla Fiat, di lavoro dagli operai, di riconoscimenti dalla politica. È tempo di restituire. Abbiamo deciso di aprire al pubblico un grande museo ‘Gianni e Marella Agnelli’ in cui esporremo tutta la collezione, riportando in Italia ciò che è all’estero e sollecitando noi stessi un vincolo contestuale che renda onore all’importanza della collezione”. Sogni a parte, vedremo come finirà.

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