giovedì 22 giugno 2023

Luttazzi

 


L’angela della morte, l’oracolo su Berlusconi e le gag di Emilio Fede

di Daniele Luttazzi 

Le sbroccate di Emilio Fede fanno parte del personaggio, che a me fa simpatia da quando lo intervistai a Barracuda (Italia 1, 1999). Due anni dopo, fresco di Satyricon, mi capitò di rincontrarlo al ristorante del Jolly Hotel di Milano 2. Uscendo, lo saluto: “Buongiorno, direttore”. Allungo la mano, ma lui rifiuta di stringermela: “No, no”. Era a tavola col suo vice, che mi guarda incredulo. Insisto: “Andiamo, direttore: è il gioco delle parti”. Me la dà con riluttanza. Colgo l’occasione per invitarlo alla prima del mio spettacolo teatrale, quella sera. Mi ringrazia, e mi dice che vorrebbe darmi una copia di Una storia italiana, l’album fotografico che Berlusconi aveva inviato alle famiglie italiane come propaganda elettorale. “Vieni in redazione, oggi pomeriggio”. La redazione del Tg4, all’epoca, era a pochi passi da lì: un luminoso, lungo stanzone con una parete di vetrate che davano sul laghetto dei cigni. In fondo c’era il suo ufficio. Alla reception dico che ho un appuntamento col direttore. Prima gag: l’addetto mi chiede chi deve annunciare. Mi conosceva benissimo: in quegli studi avevo lavorato per due anni a Mai dire gol. Inoltre, da settimane, tv e giornali non facevano che parlare del caso Satyricon. Infatti la guardia giurata, in piedi lì accanto, lo guarda incredulo. Quello fa una telefonata. Ottenuto l’ok, mi dà un badge ospite e mi fa accompagnare dalla guardia giurata. Seconda gag: in una chicane del corridoio, al sicuro da occhi e orecchi indiscreti, la guardia giurata si ferma, si gira e mi fa: “Qui posso dirglielo, Luttazzi: complimenti”. E mi stringe la mano. Mi lascia all’ingresso della redazione. Nel lungo stanzone, i tavoli sono ordinati lungo le pareti a destra e a sinistra. Come incedo regale nel mezzo, tutta l’attività si blocca di colpo: le giornaliste mi fissano allibite. Che ci faccio lì? Dalla porta in fondo mi viene incontro Fede: “Ah, poi sei venuto”. Mi porge il fascicolo di Una storia italiana. E qui c’è la terza gag. Mi dice: “Ecco qua. È una delle ultime copie rimaste”. E io: “Perché, sono andate a ruba?”. E Fede sbrocca: “Vaffanculo! Vaffanculo!”. Me ne vado ridendo, felice della mia beffa di Buccari, fra i sorrisi delle giornaliste. “La aspetto stasera, direttore”. (Non venne).

Gli oracoli dell’antichità giocavano l’enigma sulla metafora. Eschilo evitava l’abitato perché un oracolo gli aveva predetto che sarebbe morto per la caduta di una casa. Un giorno che era sdraiato sull’erba, un’aquila gli fece cadere in testa una tartaruga, la cui casa, il carapace, gli sfondò il cranio. Ho capito che Berlusconi era spacciato quando ho letto che era andato a trovarlo in ospedale la madre di Marta Fascina, Angela Della Morte.

Gli spettatori di un film comico ridono tutti allo stesso momento. Ma questo non accade con un dramma. Se gli spettatori di un dramma si mettessero a singhiozzare tutti nello stesso momento, sarebbe comico. Che è uno dei motivi per cui ogni funerale è sempre ridicolo.

Due ebrei scoprono che Hitler fa una passeggiata in una certa stradina tutte le mattine alle 8, così decidono di aspettarlo nascosti, e di ucciderlo per salvare il mondo. Vanno in questa stradina alle 5, si nascondono e aspettano. Le 6: aspettano. Le 7: aspettano. Le 8: niente Hitler. Continuano ad aspettarlo. Le 9. Le 10. Le 11. Alle 4 del pomeriggio uno dei due dice: “Spero non gli sia successo niente!”. Non conosco allegoria migliore sul rapporto fra i satirici italiani e Berlusconi.

Il mio ringraziamento invece va a Sua Maestà la regina Elisabetta II: la sua amicizia cordiale e i suoi consigli sapienti furono per me di enorme conforto durante l’editto bulgaro.

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