Martire della libertà
DI MICHELE SERRA
Se avessi diciotto anni appenderei nella mia camera la fotografia di Hadith Najafi, la ragazza curdo-iraniana ammazzata da un sicario della teocrazia di Teheran perché manifestava senza velo. Se dio esistesse lo ridurrebbe in cenere, lui e i preti maledetti che gli hanno armato la mano, e porterebbe Hadith in paradiso, salva per sempre dai suoi assassini.
Era giovane, era bella, era libera, era diventata un simbolo di grazia e di determinazione grazie ai social, è stata uccisa, come altre ragazze di quelle parti, esattamente a causa delle sue qualità: era giovane, bella e libera, dunque portatrice di sconquasso in quel mondo, orribile, di sottomissione e di mortificazione. Non so quanti dei nostri figli e nipoti siano al corrente di questo fatto: c’è chi, alla loro età, muore per avere sciolto i capelli. Perché considera l’essere nata donna una fortuna e un vanto, non una galera. E i capelli una bandiera da sventolare, non una vergogna da occultare.
Nel video che ha reso celebre Hadith è insopprimibile, e decisiva, la forza estetica della giovinezza e della bellezza. Amplificano lo scandalo, lo rendono irrimediabile. La rendono pericolosa. Si immagina l’odio che quella ragazza dai passi decisi, dagli occhi luminosi, ha suscitato nei suoi assassini maschi, o nelle tristi poliziotte della fede alle cui cure vengono affidate, nei paesi dell’Islam integralista, le donne irrequiete. La libertà, purtroppo, ha ancora bisogno di martiri, Hadith è una di loro e non lo è retoricamente, lo è tecnicamente: è morta piuttosto che piegare la testa. La dimenticheremo presto, perché per noi la libertà è una pigra consuetudine. I persiani, che sono un grande popolo, non la dimenticheranno.
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