“Eroi contro i russi”, l’insulto revisionista ai nostri Alpini
ENNESIMA “GIORNATA” IN MEMORIA - 26 gennaio. Istituita la giornata in ricordo “della battaglia di Nikolajewka”, a fianco dei nazisti. I soldati italiani sapevano bene che fu il fascismo a mandarli al macello
DI TOMASO MONTANARI
Stiamo scivolando all’inferno. La guerra si sta mangiando pensieri, parole, simboli. E comunque vada a finire, ammesso e non concesso che non scompariamo tutti nel fuoco nucleare, ci aspetta una regressione “primordialista”. Albert Einstein diceva che non sapeva come sarebbe stata la Terza guerra mondiale, ma era sicuro che la Quarta si sarebbe combattuta con le clave. Alle clave ci siamo già: percuotono chiunque non introietti la logica “amico-nemico”, chi non si acconci a dire che alla guerra si può rispondere solo con la guerra. Ormai il mainstream del discorso pubblico italiano è “che la guerra è bella anche se fa male” (De Gregori). I peggiori sono i giornalisti (con le eccezioni cospicue di Manifesto, Avvenire e di questo giornale): “Domandate ai giornalisti perché con i loro scritti eccitano gli uomini alla guerra: essi vi risponderanno che le guerre in generale sono necessarie, e soprattutto la guerra attuale; essi appoggeranno le loro opinioni con frasi vaghe e patriottiche, come i soldati e i diplomatici. E allorché si domanderà loro perché essi, giornalisti, uomini viventi, agiscono in tal modo, vi parleranno degli interessi generali dei popoli, dello Stato, della civiltà, della razza bianca” (Lev Tolstoj, 1904).
Come se non bastasse, il Senato ha approvato senza voti contrari l’istituzione (primi firmatari due deputati della Lega) dell’ennesima data memoriale del calendario civile, la Giornata nazionale della memoria e del sacrificio degli Alpini. Il fine – cito la legge – è quello di “conservare la memoria dell’eroismo dimostrato dal Corpo d’armata alpino nella battaglia di Nikolajewka durante la seconda guerra mondiale, nonché di promuovere i valori della difesa della sovranità e dell’interesse nazionale”. Non ho nulla contro gli alpini: mio nonno materno ha presieduto a lungo la sezione fiorentina dell’Associazione Nazionale Alpini. Ma scegliere di fissare quella giornata al 26 gennaio è l’ennesima mossa revisionista, ora con l’aggravante del nazionalismo. E non tanto perché è fin troppo evidente la volontà di mettere ancor più tra parentesi il Giorno della Memoria (27 gennaio), ma soprattutto perché si è scelto di celebrare la data della battaglia di Nikolajewka, episodio terribile della terribile ritirata di Russia. Esalteremo così “l’eroismo” degli Alpini al servizio del nazismo e del fascismo, che vollero la scellerata campagna orientale. Celebreremo l’“interesse nazionale” con il ricordo di una folle guerra di invasione contro una nazione che oggi vogliamo di nuovo pensare come ‘nemica’. Così, invece di contestare il sanguinario nazionalismo del despota Putin, invasore dell’Ucraina, resuscitiamo i fantasmi del nostro. Facendo in più un grave torto a quei soldati, e agli alpini tra loro, che reagirono all’oscenità della guerra fascista sviluppando un antinazionalismo internazionalista.
Quando fu annunziata alla mensa della Scuola Normale di Pisa l’entrata in guerra dell’Italia contro la Francia, un gruppo di studenti (tra i quali Carlo Azeglio Ciampi) intonò la Marsigliese, venendo sospeso. E in quello stesso 1940 Piero Calamandrei scriveva: “Gli inglesi e i francesi e i norvegesi che difendono la libertà sono ora la mia patria”. Invece, oggi torniamo a celebrare le nostre aggressioni fasciste ai danni delle altre nazioni, e inseriamo nel calendario civile una battaglia che andrebbe ricordata solo a perpetuo ludibrio di Mussolini e dei suoi. E certo non nobilitandola con l’ambigua formula dell’“eroismo” dei poveri ragazzi mandati in quell’inenarrabile macello. È la battaglia in cui Nuto Revelli (lo ha ricordato di recente suo figlio Marco) “aveva urlato a se stesso e perché tutti sentissero: ‘Non farò mai più l’ufficiale di quell’esercito’. Allora, dichiarerà in un’intervista molto sofferta, ‘ho maledetto il duce, ho maledetto il re, ho maledetto (una breve pausa) l’esercito… Ho maledetto (una pausa più lunga, come se la parola non volesse uscire dai denti) la patria’. Era incominciata in fondo, allora, la sua ‘seconda vita’ – morto l’alpino nasceva il partigiano”.
Ed è la guerra in cui Mario Rigoni Stern vive l’episodio epifanico che racconterà nel Sergente nella neve: “Si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini, un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati. I bambini specialmente. Se questo è successo una volta potrà tornare a succedere. Potrà succedere, voglio dire, a innumerevoli altri uomini e diventare un costume, un modo di vivere”. Proprio questo diventerà il progetto della Costituzione: oggi, per l’ennesima volta, tradito.
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