sabato 27 marzo 2021

Proiezioni


Tutto ebbe inizio non molto tempo fa, oramai lo sentivo stanco, affaticato, il rumore interno aveva assunto la caratteristica di un rantolo prolungato che, sul far dell’alba, mi incuteva compassione. Senza nulla proferire, scelsi un suo discendente più snello, arrembante, veloce, sempre della stessa stirpe, la migliore. Lo scelsi mediante “Isso”, che infatti capì che il tempo s’era fatto breve, la notte sarebbe arrivata ineluttabilmente. Nove anni insieme non sono pochi, tecnologicamente parlando, ma, come in natura, si arriva al punto in cui, quella parola malvagia, obsoleto, s’incunea nei meandri del pensiero, rendendo inutile ciò che sino a poco tempo prima, risultava essenziale. A nulla servirono le frasi sommesse sul far dell’alba - che colpa ne ho io se la tua fattrice, spara programmi che tu non riesci più ad inglobare? - che non lo rabbonirono. Scese il gelo tra noi, anche se per correttezza deontologica, continuò a farmi librare le vele per la necessaria e vitale navigazione mattutina. 

Arrivò il giorno del corriere, l’apertura mistica del grande pacco, la presentazione ufficiale accolta da freddezza e noncuranza sfioranti la maleducazione. 
Lo ripulii dagli abnormi depositi di giga oramai preistorici, gli tolsi quella polvere divenuta simbiotica, lucidandolo ebbi la sensazione di praticare le abluzioni ad un condannato in odore di patibolo. Staccai la spina e iniziai a veleggiare col pronipote, un lampo, un fotone capace di inerpicate mediatiche ultraveloci, silenzioso oltremodo, in surplace anche con apertura subitanea e simultanea di falangi di siti, programmi, foto, video. 
E il vetusto fermo, glaciale, immoto, quasi soddisfatto per quella rottamazione che gli avrebbe evitato di assistere a ciò che è prassi sul proscenio umano, dogma arcinoto, subdolo, improcrastinabile, a meno tu non sia un riccastro o un inamovibile ciarlante, per cui la canizie diviene un vezzo, e il levar posti alle discendenze future, già sin d’ora forzatamente a riposo, un problema dei famigerati “altri.”

Arrivò quindi il giorno dello smaltimento: guardandolo provai quella tristezza che a volte non s'ascolta per caparbietà, ma che avvolge, soprattutto, persone, e pure animali, e perché no oggetti, i quali intrisi di nostre orme, non scaricabili, non backuppabili, le dissolveranno dissolvendosi, tramutandoli in ricordi, in byte sempre più illeggibili. 
Guardai l’alto mobile nel ripostiglio: lassù avrei potuto portarlo, affinché riposasse lontano da ferraglie e svitamenti di parti nobili. Presi la scala, miracolosamente omeri e scapole rimasero intonse, lo issai sudando oltremodo, adagiandolo nel suo nuovo nido. Mentre mi sto sollazzando col novello iperevoluto, ogni tanto mi par d’udire sogghigni soffusi, tipici di chi, beatamente, riposa sperando però che qualche saetta ben assestata, lo riporti in auge, proiezione eclatante di ciò che umanamente s’avverte, allorché qualche tribunale de’ sazi, accarezzandoti piamente il coppino, cerca d’infonderti la propria bisunta compartecipazione, figlia del pensiero comune dogmatico attuale, ringiovanente chirurgicamente vetusti ma scalciante ancora giovani in animo non possedenti però egregie quantità di sterco demoniaco, alla tua acclarata inutilità.

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