martedì 9 marzo 2021

Grande Gad

 

Gli stranamore e la guerra covid
di Gad Lerner
Non promette niente di buono la guerra fredda dei vaccini anti-Covid. Serpeggiano tensioni di varia natura che, un po’ come la Prima guerra mondiale del secolo scorso, rischiano di precipitare sul fronte più impensato e di scompaginare l’assetto delle alleanze preesistenti. Proviamo a mettere in fila le lacerazioni che scuotono il pianeta malato e i suoi fragili equilibri geopolitici.
Stati nazionali alle prese con la nuova superpotenza delle case farmaceutiche produttrici dei vaccini, finanziate (com’era giusto e inevitabile nell’emergenza) con denaro pubblico che alimenta i loro profitti.
Nazioni ricche che, pur rappresentando solo il 14% della popolazione mondiale, hanno acquistato preventivamente più della metà di tutti i vaccini attesi.
Due continenti poveri, l’Africa e il Sudamerica, rimasti tagliati fuori dai programmi vaccinali, col rischio che da lì si propaghino ondate di ritorno del Covid sotto forma di variabili in grado di compromettere l’immunità di gregge raggiunta altrove.
Squilibrio crescente fra Stati Uniti, che hanno già vaccinato il 25% dei loro cittadini, e l’Europa, rimasta sotto il 10%. La presidenza Biden si è posta in continuità con la scelta protezionistica della precedente amministrazione, a costo di lasciare sguarnito anche un Paese confinante come il Canada.
Veti politici di natura “atlantica” imposti da Washington all’impiego del vaccino russo Sputnik da parte dei Paesi alleati. Cui fa da contraltare l’offerta interessata di forniture da parte della Cina, anch’essa vissuta come una minaccia al blocco occidentale.
Formazione di inedite alleanze fra nazioni disposte a scambiare contropartite politiche di varia natura, pur di inserirsi fra i privilegiati che godranno per primi dei vantaggi derivanti dalle ricerche in corso. All’interno dell’Unione europea hanno già deciso di muoversi da soli Austria, Ungheria, Slovacchia, Repubblica Ceca, Danimarca. Come loro, anche la Grecia prevede di instaurare un rapporto esclusivo con Israele, tale da consentire l’apertura delle frontiere in vista della prossima stagione turistica. A sua volta, il governo israeliano ha ipotizzato forniture di vaccino a Paesi disposti a spostare la loro ambasciata a Gerusalemme. Un do ut des che, se realizzato, sottometterebbe la politica sanitaria alla ragion di Stato.
A complicare il panorama, la stessa decisione del governo italiano, condivisa dalla Commissione Ue, di bloccare l’esportazione in Australia di 250 mila dosi di AstraZeneca infialate nel nostro Paese, per quanto assunta come legittima reazione all’inadempienza degli accordi stipulati, risuona come un segnale inequivocabile.
I gravi ritardi nella somministrazione dei vaccini non incoraggiano certo la solidarietà internazionale. Nessuno ha avuto a che ridire quando Mario Draghi, intervenendo al Consiglio d’Europa, si è opposto alla proposta franco-tedesca di donare 13 milioni di dosi anti-Covid ai Paesi africani. Prima i nostri, è il messaggio, e neanche i più accesi fautori del libero commercio hanno avuto a che ridire.
Dopodomani, 11 marzo, è convocata la Commissione TRIPs che regolamenta i diritti di proprietà intellettuale del Wto (Organizzazione mondiale del commercio). Dovrà approvare o respingere la mozione di cento Paesi poveri, primi firmatari India e Sudafrica, che chiedono la sospensione temporanea dei brevetti detenuti dalle case farmaceutiche sui vaccini per tutta la durata della pandemia, fino al raggiungimento dell’immunità di gregge globale.
Finora gli Stati Uniti e l’Ue, cioè il blocco dei Paesi industrializzati dove hanno sede le multinazionali, si sono opposti. La moratoria sui brevetti, prevista dal regolamento Wto, è sostenuta a gran voce dall’Oms e da tutte le Ong, in nome del diritto universale alla salute. Non si tratta solo di un principio umanitario di solidarietà. Consentire la produzione di vaccini a basso costo nei Paesi svantaggiati, in deroga alle licenze, si configura come la strategia più efficace per la prevenzione di future recrudescenze della pandemia.
Un appello in tal senso è pervenuto alla Farnesina da parte delle principali Ong italiane. Pare che si aprano degli spiragli, ma non se ne conosce ancora l’esito.
Mi sembra che questa panoramica basti per constatare che dobbiamo attenderci vari pericolosi effetti indesiderati della pandemia. La compravendita dei vaccini, che ha già favorito chi è in grado di pagarli di più, e sta dando luogo a traffici opachi di intermediari privati, comincia a rassomigliare maledettamente al commercio delle armi. In Italia ce ne siamo accorti quando il presidente del Veneto, Luca Zaia, ha annunciato di aver ricevuto l’offerta di 27 milioni di dosi non si sa bene da chi, raccogliendo il plauso della stampa amica. Poi, per fortuna, quando altri suoi colleghi promettevano di imitarlo addentrandosi nella giungla del traffico illecito, autorità più responsabili lo hanno fermato.
Non a tutti sembra essere chiaro che il vaccino non è una merce come un’altra. E che, nella sua iniqua distribuzione, rischiano di emergere non solo degli avidi profittatori, ma anche dei novelli Dottor Stranamore.
Mano a mano che si evidenzia la subalternità dei governanti ai diktat delle multinazionali proprietarie dei brevetti, e si acuisce il senso d’ingiustizia patito dai Paesi poveri rimasti indifesi di fronte al Covid, nuovi fenomeni inquietanti rischiano di dilagare; e andrebbero scongiurati per tempo.
Ne cito uno per tutti. Ho un brutto presentimento e, proprio perché si tratta di materia infiammabile, credo sia meglio condividerlo per tempo.
Temo che l’ammirazione generalizzata di cui gode oggi Israele per i successi conseguiti nella vaccinazione a tappeto della sua popolazione, possa rovesciarsi in una futura ondata di antisemitismo. Lo Stato ebraico ha immunizzato il 70% degli abitanti. Ci è riuscito prenotando per tempo le dosi necessarie, e pagandole più del costo medio. Ma soprattutto si è reso disponibile a condividere i dati della vaccinazione con la multinazionale, diventandone il prezioso laboratorio. Spero di sbagliarmi, ma prevedo che gli ottimi risultati conseguiti possano essere branditi a supporto di nuove odiose farneticazioni sul “complotto ebraico”, a meno che si vinca la tentazione di utilizzarli per finalità politiche.
Non dimentichiamolo: la diplomazia dei vaccini è un’arma a doppio taglio. In assenza di solidarietà internazionale chi la impugna rischia di farsi molto male.

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