mercoledì 14 dicembre 2016

Epopea


Ho visto la nostra epoca seduta ad un tavolino di un gran bel bar di Milano. Era lei, ne sono sicuro. Potrebbe essere sicumera, ma ne rimango certo.
Questa epoca troppo veloce mi si è presentata senza annunci. E’ bastata osservarla, a volte non riusciamo neppure più a farlo. Chissà tra trent’anni come la storia giudicherà i nostri atteggiamenti epocali, come descriveranno codeste prime decadi del secondo millennio, come s’agiteranno i futuri soloni. Quello che sicuramente non vi sarà più, come in ogni epoca, sarà questa nostra quotidianità, appagante i nostri bisogni, che inevitabilmente non saranno necessità del 2040.
Cambiamo perché evolviamo o involviamo?
Bella domanda!
Noto però con piacere che alcune obsolete consuetudini di un tempo, stiano riaffiorando: alla stazione ferroviaria di Milano ad esempio fanno già il caffè con la Cuccuma, la capovolgente caffettiera napoletana; stanno ricomparendo barberie ovunque in stile pubblicità Proraso, gran bella serie visto che il barbiere ha il barbone, il vinile sta galoppando alla grande. 
Concettualmente, visto l’andazzo, tra trent’anni ritorneranno i pic nic, le persone s’incontreranno in locali climatizzati ove lo smartphone non potrà entrare, i cani invece si; i giovani parleranno tra loro, ritornerà la bellezza del dialogo e dell’incazzatura orante. Nasceranno word-training, ricercatissimi, insegnanti a poveri depredati la magica gestione dell’autocontrollo per l’incontro con l’Altro, davanti ad una piazza o dentro una caffetteria; essi spianeranno la strada alla torbida, oggigiorno, arte dell’accoglienza di colui che mediante emissione di suoni modulati, comunemente chiamata voce, vorrebbe confrontarsi al fine di crescere nel sociale, metodo naftalinazzato oramai da qualche lustro. 
Si vedranno alla fermata dell’autobus persone con il viso all'insù osservare giochi di nubi corroborate da volatili liberi di esprimere le virtù della propria specie. Non si giudicherà più dall’aspetto, né occorrerà comprare a caro prezzo l’uniforme generazionale del momento, come accade attualmente. 

Ritornerà insomma l'antico come similmente riemerge ora da nebbie trentennali che si credeva scomparso e seppellito da app sempre più totalizzanti.

Credo sia un circolo vizioso, un ritorno per una ripartenza. Sensi in evoluzione ricercanti soavità che possano rivitalizzare il nostro Io sofferente per essere stato messo nell'angolo da un progresso non favorente l’umano, non appartenente alla specificità del sapiente. 
La prova di quanto detto sta nella scomparsa di un giusto luddismo, silenzio globale allorché affiorano nuove e sempre più invadenti tecnologie, veloci, iperveloci, dissuadenti, ammalianti e, soprattutto, fuorvianti.
Nessuno s’azzarda a ritrovarsi e scoprirsi coglione mentre maneggia il bene più prezioso attuale per informare gli altri di aver degustato la focaccia o bevuto una birra; non è sfiorante l’idea di non essere partecipi della realtà, allorché chattiamo scrivendo ovvietà, evitando di trasformarle in discorsi vocali che, pur se roteanti attorno ad un ipotetico nulla, potrebbero essere in grado di generare egualmente chiarore in noi.

La nostra epoca materializzatasi attorno ad un tavolino di un bar mi fa riflettere su come mi pongo dinnanzi al reale, raggiungendo a volte un parossismo tale da generare fastidio nel mio simile orante mentre sto guardando le ultime news. Fortunatamente qualcosa ancora cova sotto la cenere perbenista di quest’ideologia di massa ed i suoi lapilli, a volte, risvegliano la perennemente in letargo attenzione, aprendo pertugi sulla realtà circondante che consideriamo erroneamente di una piattezza inaudita, d’effimera nullità.

La nostra epoca osservata al bar ha permesso, concesso, quasi elargito, di notare che mamma e figlio adolescente non abbiano parlato tra loro per almeno una trentina di minuti, intenti com’erano a muovere le dita sopra un vetro magico e portatile.

Questa è la nostra epoca. Ai posteri l’ardua sentenza!  

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