L’allievo e il maestro
di Marco Travaglio
C’è qualcosa di commovente, ma anche di irresistibilmente comico, in un Paese che scopre all’improvviso le ingerenze straniere e i conflitti d’interessi dei padroni dei media nella politica. Soprattutto se quel Paese è l’Italia. A leggere le migliori gazzette, sembra che fino al 5 novembre, cioè alla rielezione di Trump con Musk incorporato, i magnati della finanza e dell’informazione fossero esiliati nello spazio su apposite astronavi impermeabili a qualsiasi contatto con i politici; che i governi occidentali decidessero in assoluta autonomia dalla Casa Bianca, seguendo l’esclusivo interesse dei propri cittadini; e che tutte le tv, i giornali e i social fossero in mano a editori puri interessati solo alla libera informazione, finché un brutto giorno Elon Musk acquistò Twitter chiamandolo X (volete mettere Facebook: provate a scrivere “Gaza”, o un aggettivo poco carino che non sia contro i russi, e vedrete che fine fanno). Per 30 anni abbiamo avuto premier o capo dell’opposizione un plurimputato e finanziatore della mafia, proprietario di tre tv, di una banca-assicurazione, del primo gruppo editoriale (peraltro rubato al legittimo proprietario con una sentenza comprata), che legiferava sui suoi reati, processi e affari; e quando qualcuno chiedeva di dichiararlo ineleggibile in base alla legge del 1953, si sentiva rispondere che “le tv non spostano voti” dai liberali alle vongole che ora scoprono i conflitti d’interessi di Musk (sufficientemente lontano per poterne parlar male).
Il presidente dell’Anm e il Pg di Napoli, nel denunciare giustamente le norme e gli attacchi del governo contro i magistrati, dicono che “è peggio che ai tempi di Berlusconi”. Una scempiaggine che si spiega solo con la pandemia da amnesia: sennò qualcuno ricorderebbe le 80 leggi ad personam e ad aziendam, i magistrati paragonati alla banda della Uno Bianca, alle Br e al cancro, definiti “matti, antropologicamente diversi dalla razza umana”, minacciati con assalti di ministri e parlamentari al Palazzo di Giustizia di Milano, spiati, dossierati (con giornalisti e politici sgraditi) dal Sismi, insultati, calunniati, pedinati e messi alla berlina a reti Mediaset (e poi Rai) unificate, le epurazioni di Montanelli dal suo Giornale e di Biagi, Santoro, Luttazzi&C. dalla Rai. Nei primi anni qualcuno, di sinistra ma soprattutto liberale (Montanelli, Sartori, Cordero e pochi altri), denunciava quel regime pluto-mediatico. Poi passò la linea del “dialogo”, delle “riforme insieme” e infine dei “governi insieme” (Monti, Letta e Draghi). Il monumento vivente al conflitto d’interessi continuò a salire e a scendere dal Quirinale anche da pregiudicato. E ora chi lo rimpiange dà lezioni di conflitto d’interessi a Musk: che cos’è, uno scherzo?
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