“Yo soy Giorgia” Dalle banche all’Iva, una manovra a elastico per i soliti furbi
di Alessandro Robecchi
Il magico mondo delle riforme fatte con l’elastico ci compare di fronte come un luogo meraviglioso, dove si incassa consenso con annunci roboanti e poi si tira indietro la mano, si monetizza la bella (?) figura senza poi monetizzare niente. Insomma, è un Paese delle meraviglie, di novità annunciate e poi rimangiate con un certo aplomb, un garbo fascinoso simile alla faccia di Tajani quando sorride: ci sono spettacoli migliori.
Era agosto quando il governo Meloni annunciava con grande clamore una tassa sugli extraprofitti delle banche, “una misura di equità sociale”, come disse Yo soy Giorgia, rimettendo per un attimo il costume da destra sociale che le donava tanto in campagna elettorale. Matteo Salvini, come sua consuetudine preciso al centesimo e rigorosissimo, parlava di un incasso per lo Stato di “alcuni miliardi”, zero più, zero meno. Insomma si prefigurava questo scenario: le grandi banche preoccupate di dover pagare, i cittadini sicuri che qualunque esborso sarebbe ricaduto sul loro groppone in forma di rincari vari, le lobby e i gruppi di pressione al lavoro sottotraccia. Ora che quella tassa è conclamata e definitiva, il risultato è che i tassati (le banche) possono decidere di non pagarla (manco morti) purché usino quei soldi (qualcosa in più) per rinforzare il proprio patrimonio. È un po’ come dire al contribuente: puoi pagare questa tassa, oppure puoi mettere l’importo in un cassetto, o comprarti una Porsche, e “l’equità sociale” la salutiamo, ciao ciao, con un fruscio gommoso di elastico, la tassa torna indietro.
Altro caso di scuola interessante, la cedolare secca sugli affitti brevi: dal 21 al 26 per cento, presentata con varie motivazioni. La prima e più evidente non ha osato pronunciarla nessuno: non è giusto che la rendita sia tassata più del lavoro, argomento così démodé che non si dice nemmeno a sinistra. Poi, però, bisognava tirare un osso a Forza Italia, placare Tajani, accontentare los liberistas che gridavano al socialismo reale nei B&B. Risultato: pagheranno una tassa più alta i proprietari di appartamenti in affitto che ne abbiano almeno tre, che abbiamo un nipote che si chiama Gualtiero, meno di dieci diottrie, un principio di gotta. È vero, la platea si restringe un po’ (di circa il 90 per cento), soldi ne arriveranno pochi, il dumping sul mercato degli affitti resterà intatto, ma Yo soy Giorgia e Yo soy Giorgetti potranno menare vanto per una misuretta di “equità sociale” (risate in sottofondo).
Il capolavoro arriva invece con l’Iva raddoppiata sui prodotti per l’infanzia e quella che pudicamente i giornali chiamano “l’igiene femminile” (traduco in italiano: gli assorbenti). L’Iva sul latte in polvere era del 5 per cento (Manovra 2023, sbandierata da Meloni come un grande successo a vantaggio della natalità della Nazzione) e balza al 10 (Manovra 2024), con la sublime motivazione che la norma “non ha funzionato”. Cioè gli italiani, farabutti, non hanno approfittato di quello sconto di pochi centesimi su pannolini, semolini e latte per neonati per figliare come conigli. Hanno perso un’occasione d’oro, maledetti e, distratti dall’inflazione e dai bassi salari, hanno perso una straordinaria opportunità di risparmio, oltre che di gioia genitoriale. Non ha funzionato, ecco, nel dubbio aumentiamo, non fa una piega. Alla fine la manovra con l’elastico verrà votata così, senza odiosi emendamenti, con la consistente soddisfazione di aver penalizzato le pensioni, la scuola, la sanità. Yo soy Draghi, Yo soy Fornero, che spettacolo!
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