sabato 17 ottobre 2015

Da leggere a stomaco vuoto

E IO PAGO. BANKITALIA CHIEDE AI CONTRIBUENTI DI AIUTARE IL SISTEMA CON LA BAD BANK, MA I BUCHI DERIVANO DAGLI ABUSI DEI MANAGER

di Giorgio Meletti

Le banche italiane sono sotto processo e la Banca d’Italia si gira dall’altra parte. Il governatore Ignazio Visco da mesi invoca un intervento dello Stato, decine di miliardi pubblici per tappare i buchi fatti dai suoi vigilati e, naturalmente, per spingere la ripresa dell’economia. Ciò che Visco non spiega ai contribuenti è per quale ragione vorrebbe tassarli per decine di miliardi, cioè come si siano prodotti i 350 miliardi di “crediti deteriorati”, prestiti che le banche hanno concesso e faticano a farsi restituire, e costituiscono quasi il 20 per cento della massa creditizia totale. Colpa della crisi economica? Solo in parte.


Nelle prossime settimane inizia il processo all’ex presidente della Banca Popolare di Milano, Massimo Ponzellini, stimato e sponsorizzato prima da Romano Prodi poi da Giulio Tremonti. Reati contestati: associazione per delinquere, appropriazione indebita, riciclaggio e corruzione privata. L’accusa è di aver creato “una struttura parallela e deviata” all’interno di Bpm per distribuire oltre 233 milioni di euro di presunti di finanziamenti “a soggetti segnalati da ambienti politici o imprenditoriali”, che, si sottintende, non avevano i requisiti per ottenere quei crediti.

Abbiamo raccontato sul Fatto di Banca Marche. Fra pochi giorni si chiudono le indagini su 37 persone capitanate dall’ex direttore generale Massimo Bianconi. Ancora associazione per delinquere e appropriazione indebita. Il buco è di almeno 800 milioni. Quando si insediarono, due anni fa, i commissari segnalarono alla Procura di Ancona 190 operazioni irregolari di erogazione di crediti. Per molte di esse sembra evidente che la sventatezza dell’istituto di Jesi sia stata causata da tangenti. Altri due processi si aprono nelle prossime settimane. L’ex presidente della Carige di Genova, Giovanni Berneschi, è imputato di associazione per delinquere finalizzata alla truffa e al riciclaggio.

L’ex direttore generale della Tercas di Teramo, Antonio Di Matteo, accusato di aver distrutto la piccola banca con un danno tra i 200 e i 300 milioni, deve rispondere di associazione per delinquere, appropriazione indebita e bancarotta. Secondo i magistrati, Di Matteo e complici (tra i quali il brillante candidato premier Gianpiero Samorì) “si appropriavano, grazie a delibere carenti nell’analisi sulla capacità di rimborso degli imprenditori affidati e spesso adottate in assenza dei requisiti di assoluta e improrogabile urgenza, di ingenti somme di denaro”.

La lista potrebbe continuare con Banca Etruria, Veneto Banca, Popolare di Vicenza e altri casi minori. Tutti indagati, tutti legati a un identico copione: la banca presta i soldi a aziende inaffidabili perché sono di amici, amici degli amici o amici dei politici. Oppure prepara la future sofferenze prestando a chi paga la tangente direttamente a un funzionario anziché al politico in grado di dare ordini al funzionario. Poi la stessa banca si rifà sui clienti figli di nessuno, truffandoli con fumosi contratti derivati o con anatocismo e tassi usurari. È l’altro grande capitolo giudiziario. Il presidente di Intesa Sanpaolo Giovanni Bazoli è imputato con l’ex numero uno Corrado Passera e con l’ex ad di Cdp Giovanni Gorno Tempini per usura. Il capo di Unicredit Federico Ghizzoni e il predecessore Alessandro Profumo sono sotto inchiesta per i derivati con i quali sono accusati di aver a provocato la bancarotta del mobilificio pugliese Divania.

Parliamo di un fenomeno che tre anni fa lo stesso Visco ha denunciato, salvo poi rientrare nel tradizionale riserbo: “Le politiche di affidamento devono essere basate sulla solidità dei progetti imprenditoriali, non su relazioni e legami che ne prescindano: stabiliti in fasi di crescita economica e di finanza favorevole, essi non sono oggi più sostenibili”.

Dopo l’estate 2012, pressate dalla crisi che ha impedito di nascondere la polvere sotto il tappeto, molte banche sono esplose. Le più resistenti hanno dovuto comunque ammettere perdite su crediti per decine di miliardi, annunciando quei “bilanci di pulizia” che evocano l’idea di nuova aria fresca e invece altro non sono che la maleodorante contabilità di soldi in buona parte rubati. Eppure non sembra che abbiano cambiato abitudini. Il caso Palenzona-Bulgarella dimostra, intercettazioni alla mano, che ancora nella primavera di quest’anno – proprio mentre Visco invocava il via libera della Commissione europea al soccorso statale per le sofferenze bancarie – lo stato maggiore di Unicredit si organizzava per truccare le carte e concedere un prestito a un cliente decotto ma sponsorizzato dal vice presidente Fabrizio Palenzona. Ancora adesso, dunque, Unicredit sembra produrre dolosamente le sofferenze che poi Visco chiederà ai contribuenti di pagare. Per questo due alti dirigenti di Unicredit, Massimiliano Fossati e Alessandro Cataldo, sono indagati per associazione a delinquere, appropriazione indebita e truffa.

Sono cioè accusati di aver derubato Unicredit. Eppure Ghizzoni, il numero uno non muove nessuna critica a chi è coinvolto nello scandalo che sta sbriciolando la reputazione della sua banca. Insieme a tutto il cda blinda i manager sotto accusa, perché per ora “non sono emerse anomalie” .

In tempi di rottamazione il sistema bancario è l’unico luogo dove resiste una casta di intoccabili. I cambiamenti al vertice delle banche li ha portati la magistratura. La prova di tutto ciò viene dall’ultima novità sgradevole per la Banca d’Italia, il caso della Popolare di Vicenza: il presidente indagato Gianni Zonin – da sempre caro alla Vigilanza – stava per affidare il risanamento al 75enne Divo Gronchi, ex Mps, e solo l’intervento dall’alto della Bce ha bloccato l’operazione continuista, imponendo al vertice un amministratore delegato 47enne, Francesco Iorio, al suo primo incarico di vertice. Troppo giovane, forse, per la pigra “moral suasion” di Bankitalia.

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