Fra Cina e Usa. È la lite di condominio più grande di sempre: pagheremo noi
DI ALESSANDRO ROBECCHI
Quando gli chiesero perché preferiva andare in galera e perdere un titolo mondiale piuttosto che andare in Vietnam a sparare ai vietcong, Muhammad Alì rispose: “Nessun vietcong mi ha mai chiamato negro”.
Ecco, siccome ci apprestiamo ad assistere alla più grande lite di condominio del pianeta, tra Stati Uniti e Cina, vorrei ricordare che nessun cinese mi ha mai chiamato “parassita”, come invece ha fatto il vicepresidente americano J.D.Vance. Detto questo, c’è, evidente a tutti, un problemino difficile, e cioè che nella storica foto di Yalta, quella con Roosevelt, Churchill e Stalin che si dividono il mondo come un melone, ecco, in quella foto non c’è nemmeno un cinese. È un problema, dato che oggi invece la Cina è dappertutto, non solo nelle schermaglie commerciali, ma nelle nostre vite, sottoforma di merci, componenti, manifatture, tecnologia e altro. Mentre la foto di Yalta ingialliva e diventava antica, inadeguata, decennio dopo decennio, la Cina passava da medioevo feudale a biciclette e riso per tutti, poi a fabbrica del mondo, manifattura a basso prezzo, poi a avanguardia tecnologica con grandi capacità produttive. Insomma, ha fatto in ottant’anni quello che noi abbiamo fatto in trecento: anche soltanto dieci anni fa comprare una macchina cinese pareva come comprare un pedalò in lamiera; oggi invece la macchina cinese c’è, ed è una sciccheria di alta gamma.
La guerra commerciale è partita a colpi di dazi, blocco di determinate merci (le terre rare!), ripicche, sgambetti, frecciatine verbali, pernacchie, accuse reciproche. Presto la gara di schiaffoni diventerà una rissa da saloon, la logica del dispetto commerciale diventerà un tutti-contro-tutti entusiasmante. Uno spettacolo che pagheremo, ovviamente, in termini di prezzi che si alzano, inflazione e via elencando, sempre se non ci sarà la temuta recessione. Intanto si disegnano i confini ideologici delle questioni commerciali. Anche se potrebbe non convenire in termini commerciali (traduco: ci rimettiamo dei soldi) faremo accordi con Trump, comprandogli più gas e più armi (cosa che spiega bene il famoso riarmo europeo! Wow!), e questo perché siamo nella sua sfera di influenza e contro i comunisti. Quanto ai cinesi coltivano la propria sfera d’influenza e mirano ad allargarla e consolidarla, facendo balenare ogni tanto l’idea che certe merci molto ambite le hanno solo loro, quindi attenzione a tirare la corda. Hanno anche in mano una bella fetta di debito pubblico americano, visto che si parla tanto di deterrenza, si sappia che non c’è solo quella nucleare, ma anche quella finanziaria.
La lite di condominio diventa quindi anche una divertente lezione sui massimi sistemi: viene fuori che il capitalismo lo fanno meglio i comunisti, che sembrano più seri, che non rovesciano il mondo giocando a golf e non hanno la consulente religiosa. Anche a livello estetico, insomma… La scena di Trump con gli amici ricconi (“Ehi, Frank, ti ho fatto guadagnare due miliardi!”) sembra un B-movie americano degli anni Quaranta con il sindaco, lo sceriffo e il giudice che fanno comunella per spartirsi la città. Mentre dall’altra parte c’è Xi, un signore serissimo, vestito di scuro, che pare preoccupato e concentrato sul da farsi. Domani Meloni va a sentire cosa desidera il Capo e torna a riferire, mentre il ministro degli esteri ha già rassicurato tutti che l’America rimane il nostro primo partner. Traduco: non ci faremo irretire dai cattivi comunisti cinesi, e continueremo a prendere schiaffoni sorridendo.
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