domenica 20 aprile 2025

Lezione

 

La fame di guerra dell’ultra-élite

Ursula von der Leyen ha saputo prendere i voti del centrosinistra e spostare poi il baricentro sul lato opposto. L’idea di Mario Draghi di un nuovo piano Marshall bellicista chiude il cerchio
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“Le due destre” uscì nel febbraio del 1996, proprio alla vigilia delle elezioni politiche in cui per la prima volta si confrontarono […] l’Ulivo di Romano Prodi da una parte e il Polo delle libertà di Silvio Berlusconi dall’altra. […].

Due destre in conflitto tra loro nei mezzi, ma per molti versi unificate da un fine comune. E qual era questo fine comune? […] Governare la dissoluzione del “compromesso socialdemocratico” che aveva garantito non solo gli equilibri sociali e politici per circa un quarantennio […] ma anche un lungo ciclo di sviluppo […]. Al di sotto della nuova geografia descritta dalla formula delle “due destre” […] un quadro di comuni presupposti:

1. La constatazione della “fine” della centralità del lavoro salariato, […] marginale (“fine della classe operaia”, l’adieux au prolétariat di André Gorz), a fronte di un unico “soggetto” […] dominante […] l’Impresa. […]

2. La parallela constatazione che la forte mobilitazione di mezzi istituzionali, […] che avevano garantito una mediazione efficace (e necessaria) tra i poteri forti dell’industria e l’esercito organizzato del lavoro, fosse ormai uno spreco (inutile) di energie. […]

3. Infine la retrocessione del problema della povertà e del bisogno, da questione sociale e politica (ovvero collettiva e di sistema) a problema individuale. […]

Questi gli elementi di contesto comuni ai due blocchi sociali […]. Da una parte […], la Destra tecnocratica, costituita da ciò che restava del precedente blocco egemone nel ciclo industriale fordista: la grande industria privata del Nord (Fiat in testa); i grand commis del declinante capitale pubblico (Prodi ne è un esemplare perfetto); Mediobanca e i salotti buoni del capitalismo italiano delle grandi famiglie; […]. L’idea di far girare il nuovo software sul vecchio hardware dei precedenti soggetti politici di massa (si veda il caso di scuola dei Governi D’Alema I e II). […] Dall’altra parte […], gli esclusi dal patto del “compromesso socialdemocratico” […]. Un altro “blocco sociale”, costituito dagli imprenditori della piccola e media industria […], la base di quello che il sociologo Aldo Bonomi ha definito il “capitalismo molecolare” […].

Tra il ’92 e il 2000 noi assistiamo a un continuo avvicendamento nel primato tra l’uno e l’altro blocco. […], proiettandoci nel successivo oltre-Novecento, […] – vero e proprio “convitato di pietra” – era la figura di Mario Draghi, grande privatizzatore, l’effettivo realizzatore del progetto tecnocratico con forti coloriture di iper-liberismo reazionario, effettiva sintesi vivente delle due destre, e non a caso lo ritroveremo, alla fine del ciclo, un paio di anni fa a guidare un governo che metteva insieme, esattamente, i due blocchi dal berlusconismo-leghismo fino al Pd rimodulato dall’esperienza renziana. […]

L’estremo, per la verità un po’ patetico, tentativo di Walter Veltroni, da una parte, e di Silvio Berlusconi dall’altra, di strutturare nel 2008, una qualche immagine di “bipolarismo monopolistico”, […] si infranse sullo scoglio dei vincoli europei e della conseguente impennata iperbolica dello spread che pose fine all’egemonia berlusconiana, con la folla smarrita dell’intero ceto politico ad affollarsi scompostamente sotto il grande ombrello del governo dei tecnici, ovvero del commissariamento europeo. Che sarà d’ora in poi, col suo ordoliberismo di stretta osservanza nel segno dell’austerità, il vero regolatore di ultima istanza della vita sociale ed economica italiana. Il famoso, o famigerato,automatic pilot di cui parlerà qualche anno più tardi Mario Draghi, il vero timoniere e interprete di un’inedita egemonia esogena della destra tecnocratica, chiamata a realizzare il proprio progetto con la sola forza inerte del Tina (There Is No Alternative) […].

Il voto del 9 giugno ha colpito in pieno il baricentro dell’Unione europea, costituito da quell’asse franco-tedesco che da tutti era stato presentato come l’architrave dell’equilibrio continentale, e che ha funzionato finora da garante non solo del paradigma neoliberista dominante ma anche dello schieramento dell’Europa come para-belligerante nella guerra alla Russia e al suo dispotico padrone. […] Il risultato è stata l’elezione alla guida della Commissione europea della madamina Von der Leyen, ritracciata adesso come dama di ferro, con quel capolavoro di trasformismo che le ha permesso di prendere i voti del centro-sinistra spostando in realtà il baricentro sul centro-destra. Ancora una volta una fusione tra le “vecchie” due destre, per mantenere un brandello di controllo su una deriva tendenzialmente suicidaria, confermata d’altra parte dal revenant Mario Draghi e dalla sua proposta “terminale” di un nuovo piano Marshall (dai volumi triplicati) da focalizzare ora non più sul welfare ma sul warfare. […]

Ritornare al primato della “persona” – che a differenza dell’“individuo” trova la propria essenza nella relazione –; riscoprire il valore di quel terzo circuito, quello della “reciprocità”, che Karl Polanyi aveva affiancato a quello dell’Autorità e a quello dell’Utilità come regolatore delle relazioni umane; ripensare infine il “bene comune” come bussola di orientamento di un “potere pubblico” riscoperto come strumento “di tutti”, sono le condizioni per provare a ripartire dal punto in cui si era persa la rotta. E che un buon vento ci accompagni.

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