mercoledì 6 novembre 2024

Robecchi

 

Stati Uniti. Un vincitore c’è già: i soldi della più grande oligarchia del mondo
di Alessandro Robecchi
È molto probabile che mentre leggerete questa rubrichina non saprete ancora esattamente chi è il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America, non ne avrete certezza nonostante le maratone, le dirette, le news dell’ultimo minuto, le sublimi analisi che si intrecciano a speranze e timori, insomma ancora per qualche ora (o giorni?) il mondo resterà senza il suo amministratore di condominio. La strategia annunciata da Trump di dichiararsi vincitore comunque, e poi si vedrà, sentiremo gli avvocati, è piuttosto insidiosa e non nuova: la adottò Bush figlio quando decise che aveva vinto in Iraq, dove la guerra continuò poi per altri anni, con la convinzione che dire “ho vinto” ti faccia poi effettivamente vincere.
Comunque vadano (o siano andate) le cose, c’è una piccola certezza: lo spettacolo della “Grande democrazia” americana è piuttosto deprimente, e lo stato della democrazia in generale, nel mondo (dove c’è), non è messo meglio. Lasciamo stare una legge elettorale scritta probabilmente a Woodstock sotto Lsd, di cui ci sfuggono i millemila misteri, i grandi elettori, gli Stati in bilico e tutte le alchimie che vagamente conosciamo, resta il fatto che negli ultimi mesi il principale indicatore di vantaggio o svantaggio dei due candidati siano stati i soldi. Quanto ha raccolto Trump, quanto ha raccolto Harris, insomma, una specie di gara a chi si fa dare più dollari, e questo contare i dollari prima di contare i voti sembra una metafora bella e fatta, pronta da servire. Di quali soldi stiamo parlando è presto detto: i primi 500 contribuenti alla campagna elettorale di Trump e Harris hanno sganciato circa 2 miliardi e mezzo di dollari, il che significa che a tirare i fili del più grande rito della più grande democrazia del mondo, le elezioni presidenziali, ci sono essenzialmente miliardari, molti del mondo delle criptovalute, altri delle Big Tech, cioè le società tecnologiche che alla democrazia preferirebbero un bell’algoritmo, che ci pensa lui.
Il caso Elon Musk è clamoroso e indicativo: schierato apertamente con Trump, non è un miliardario qualsiasi, ma uno che lancia missili e satelliti, sistemi di difesa e di spionaggio, che ha accesso a informazioni militari segretissime. Insomma, un pezzo di America – il pezzo più spaventoso, il famoso apparato militare-industriale – appaltato a un privato. Il dottor Stranamore è una figura che si modifica nei decenni: prima il generale pazzo inventato da Kubrik, poi l’industria delle armi con la sua propaganda su “guerre giuste” e “bombe intelligenti” e ora l’avventuriero tecnologico che conta infinitamente più di tanti Stati nazionali, politiche, strategie militari. Insomma, più di un presidente. E si noti, en passant, che questa irresistibile ascesa è avvenuta, sfrenata e prorompente, durante gli anni di presidenza democratica.
Poi ci sono altri miliardari: chi sta con Harris, chi sta con Trump e chi preferisce non schierarsi, ma tutti con in testa una cosa: ci sarà a breve, ed è già iniziata, una nuova fase del capitalismo, e i padroni del mondo vogliono arrivarci preparati, con un amico alla Casa Bianca che assicuri loro una continuità: quasi zero tasse, mano libera nella produzione di energia (l’intelligenza artificiale consumerà parecchio più del vostro frigorifero), entità sovranazionali alla conquista (in larga parte già avvenuta) del pianeta. La più grande oligarchia del mondo, insomma, di cui il Presidente è il frontman, quello che sale sul palco a cantare, ma non quello che scrive la musica.

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