mercoledì 12 giugno 2024

Robecchi

 

Post-voto. Toh, i liberali non arginano le destre: le praterie erano sentierini
di Alessandro Robecchi
Insomma, alla fine della fiera le immense praterie del centro, che dovevano condurre i popoli verso la fine del bipolarismo, scuoterli dall’ottusità della contrapposizione destra-sinistra con il famoso centro (che è un altro modo di dire destra) e regalare a tutti un luminoso futuro liberale e liberista, erano dei sentierini impervi che nessuno ha voluto percorrere. Il commentismo post-elettorale – un genere letterario fantasy esattamente come il commentismo pre-elettorale – si è subito adeguato. Nessuno si è mangiato Forza Italia, com’era nelle speranze terzopoliste, e invece gli elettori si sono mangiati il terzo polo, digerendolo poi a tarda sera, sul divano, quando proiezione dopo proiezione le speranze di renzisti e calenderos decedevano serenamente, salutate da un canto di aperti sghignazzi.
Molti si affannano a dire che non è successo niente, che Ursula ha ancora la sua maggioranza in Europa, che – seggio più, seggio meno – abbiamo ancora la coalizione di prima, il che significa molti soldi per le armi, pochi per il welfare, e un’Europa che non potrà mediare per la pace, essendo ormai un attore della guerra.
A sorpresa, si è anche un po’ affievolito, almeno nei commenti, l’allarme per l’avanzata delle destre estreme, che nel pomeriggio della domenica elettorale sembrava il vero pericolo europeo, e che poi è un po’ svaporato, diventando piano piano un dato allarmante ma non più drammatico come nelle prime ore. Molto male, perché certamente gli arditi filonazi di Afd in Germania contengono anche una larga parte di voto di protesta, e va bene, ma che uno protesti così, genericamente, votando per chi dice che le SS non erano poi tutte cattive, dovrebbe preoccupare molto. Stessa cosa per madame Le Pen in Francia, e qui servirebbe una piccola notazione in margine, perché i giornali italiani la indicano come “destra estrema”, che è vero, ma poi catalogano Meloni in “destra” e basta. Bizzarro: le due sono della stessa pasta, dicono più o meno le stesse cose, hanno pesantemente flirtato alla vigilia del voto, ma – colpo di scena – quella al di là delle Alpi è “estrema”, e quella al di qua no, anzi è “statista”, “brava”, “fuoriclasse”. Strano daltonismo.
Non sarebbe l’unica bizzarria che l’informazione ci ha consegnato prima e dopo il voto. Un’altra, divertente, è quella di Elly Schlein: prima delle elezioni dipinta come una snob elvetica capace di parlare soltanto alle classi dirigenti con l’auto elettrica, e che “non si capisce quello che dice”; e dopo le elezioni una leader vittoriosa che “ha saputo parlare alla sua gente”. Una discreta piroetta in meno di ventiquattr’ore, unita allo stupore che se si parla di sanità, di salario minimo, di diritti, ti votano più volentieri, ma tu pensa che sorpresa!
Resta, è vero, l’avanzata delle destre, più o meno sovraniste, più o meno revansciste. Pochi notano, però, che dove le destre prendono molto piede (Francia e Germania su tutti), lo fanno in reazione a quelle forze liberali che dovevano in teoria fermarle. Insomma l’asse Scholz-Macron non si sente tanto bene, ma soprattutto succede là una cosa che qua è già successa. Dopo Draghi e la sua agenda è arrivata Meloni, dopo Macron arriva Le Pen e accanto a Scholz arrivano le camicie brune. Diciamo, così, a grandi linee, che i liberali europei, circonfusi dalla loro aurea di competenza e grandeur, non si stanno dimostrando molto adatti a fermare l’onda nera nel continente, né qui, né a Parigi, né a Berlino, e sembrano piuttosto favorirla, e aprirle le porte.

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