domenica 23 giugno 2024

Olezzo nero

 

Satnam, Latina provincia dell’Alabama: in piazza ci vanno solo gli “schiavi”
TRAGEDIA NEI CAMPI - Città assente. Solo i sikh alla manifestazione dopo la morte atroce di Singh. La sindaca meloniana: “È un sabato di mare”
DI ANTONELLO CAPORALE
L’Alabama d’Italia è qui, in questa piazza. Al centro le bandiere rosse, in fila per quattro, poggiate sulle spalle di questi nuovi nostri schiavi. Le barbe curate, i turbanti sgargianti, il passo ordinato e discreto di questo popolo. Il colore della pelle lo distingue dai neri d’America della segregazione razziale, ma ci siamo quasi. Oggi i sikh del Punjab, regione agricola dell’India, sono stati trasferiti in città dalla Cgil, il sindacato che si è fatto carico di dare un segno di civiltà contro l’atroce, smisurata disumanità nella quale è incappato il povero Satnam Singh, la cui morte orribile è sulla coscienza di Latina, la città che oggi assiste purtroppo distratta, svuotata, assente.
Ecco la sindaca Matilde Celentano: “Sarà forse perché è sabato, forse perché l’ora, il caldo ma Latina non è come si sta dipingendola. È solidale, piange insieme a me”. Piange ma non si fa vedere la città, magari il caldo la tiene lontana. Gli italiani sono al mare, come spesso accade. D’altronde tra loro e i sikh ci sono le dune. I connazionali sulla spiaggia, i sikh nelle stalle e nelle case coloniche delle campagne, nell’entroterra. L’agro pontino è un quadrilatero di ricchezza disordinata, spesso incistata dalla finanza criminale. Settemila le aziende agricole, ma poco più di duecento quelle che hanno firmato il protocollo di legalità. Ventiquattromila lavoratori stranieri, ma solo 11mila regolari. Tre euro l’ora fino a poco tempo fa. Di più non si può perché le aziende saltano, dicono gli imprenditori agricoli. Solo che non fanno cenno al fatturato delle agromafie (circa 21 miliardi): la camorra ha fatto incetta di terreni perché qui la manodopera a basso costo non solo è una costante ma è tollerata, giustificata, in qualche modo legalizzata.
Latina è una capitale di Fratelli d’Italia, città dove Giorgia Meloni ha sempre fatto il pieno dei voti. “Non disturberemo chi produce”, ricordate? Così la premier nel discorso di investitura. Qui l’hanno presa alla lettera. 126 mila abitanti e una economia sommersa. Solo tre ispettori sul lavoro per controllare settemila aziende governate prevalentemente dal sistema del caporalato. Qui principio e destino della scommessa dei nuovi schiavi: trovare un modo per resistere e racimolare quel che serve a riscattare il debito contratto in patria per il viaggio della salvezza.
E il sindacato? La Cgil si muove, la Cisl e la Uil non raccolgono la chiamata all’unità. La destra è altrove. Il segretario della locale Camera del lavoro viene da Taranto. Si occupava in Puglia di braccianti e si è trasferito qua: “I miei colleghi sindacalisti a chiedermi: ma perché vuoi andare a Latina?”, ricorda Giuseppe Massafra. Ecco, Latina è il centro di gravità permanente di questo circuito malavitoso, di questa illegalità espansa, di questo mondo veramente al contrario. In piazza c’è Elly Schlein che sceglie insieme a Nicola Fratoianni di presenziare senza partecipare al comizio collettivo, al pianto corale per una disgrazia che sa di vergogna, di umiliazione. Manca Landini però.
Latina intanto passeggia. Guarda e passa. “È una città conservatrice che non trova ancora la forza di offrire all’Italia un altro volto di sé che non quello della custodia del disonore. L’immagine continuamente deturpata è un problema serio da affrontare”, dice Damiano Coletta, l’ex sindaco di centrosinistra buttato giù dal tornado della destra.
Latina, già Littoria, figlia di Mussolini, fabbrica del fascismo laborioso, dell’intrapresa modernista, forte della bonifica delle terre malsane dell’agro pontino. Negli anni la dimensione agricola non è mutata ma, in ragione di una filiera produttiva che dà alle grandi catene di distribuzione il massimo del profitto, lascia che a raccogliere melanzane e zucchine pomodori e fragole e verze sia questo popolo fattivo e silente, disciplinato, pagandogli il meno possibile, l’assoluto svantaggio di una remunerazione che spesso non arriva ai quattro euro.
“I nostri fratelli fantasmi – accusa Hartdeep Kaur, sindacalista sikh oggi inquadrata nella Cgil – gli irregolari cioè che per la legge non esistono, fabbricano con il loro sudore i soldi per gli imprenditori schiavisti”. Dentro questa tenaglia è cascato il popolo sikh, chiamato a vivere e lavorare nel rispetto di questa assurda compatibilità. Garriscono le bandiere rosse. Si chiude con Bella ciao, ma Latina se ne fotte.

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