La democrazia ha la pelle dura
DI MICHELE SERRA
Ho letto il pezzo di Anais Ginori sulla “demo-ansia” dei parigini, sul senso di smarrimento e di paura di molti francesi di fronte all’ipotesi che i lepenisti possano vincere le elezioni imminenti, e governare. Per solidarietà, noi italiani dovremmo mandare delegazioni di demo-ansiosi a rincuorare i francesi. Siamo, da questo punto di vista, molto più esperti di loro: il lepenismo, da noi, è al governo da quasi due anni. La demo-ansia, una sindrome cronica.
Se siamo sopravvissuti, un poco è perché ci si abitua a tutto, un poco perché abbiamo una certa voglia di tenere duro, un poco perché gli aspetti farseschi (vedi Sangiuliano ministro della Cultura) arrivano sempre, qui da noi, ad alleviare l’angoscia. E infine (ed è la cosa determinante) perché la democrazia, nonostante tutto e tutti, prova a funzionare, e anzi funziona, anche quando al governo ci sono quelli che ne hanno sempre parlato male. Sovvertirla, manipolarla, invertirne la natura aperta, cristallizzarla in un regime non è così semplice. Perfino l’esperienza brutale e quasi surreale di un ministro degli Interni ben più affine a un ultrà di calcio che a un civil servant (stiamo parlando, ovviamente, del Salvini) ha fatto danni limitati nel tempo.
Ogni ferita, in democrazia, è rimarginabile. Si sanguina, si provano dolore e spavento, ma prima o dopo ci si rimette in piedi. Il fresco voto delle europee e quello, freschissimo, delle città, suggerisce di non perdere mai le speranze. Se un terzo dei francesi vota Lepen, due terzi, anche se divisi, votano democratico.
Ed è così in tutta l’Europa. Contatevi, demo-ansiosi, e vi accorgerete che il vostro numero è debordante, forse invincibile.
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