mercoledì 10 settembre 2025

Ricordo del Lupo

 

Benni ,
la fantasia contro il potere come arma
Lo scrittore di “Bar Sport” e altri bestseller è morto a 78 anni Il salto logico e il senso del ridicolo sono state le caratteristiche della satira di un “lupo” diventato popolare suo malgrado
di MICHELE SERRA
Il primo Benni, con i suoi corsivi e le sue poesie, precede di parecchio l’esplosione satirica degli anni Ottanta. Per capire che Stefano, morto ieri a 78 anni, è stato un precursore – e di conseguenza un maestro – basta e avanza dare un’occhiata agli archivi. Prima c’è stato lui, poi siamo arrivati noi altri.
La satira politica fioriva attorno ai movimenti allora detti extraparlamentari, dove era più coerente e naturale farsi beffe del potere e dei potenti. Erano gli anni degli indiani metropolitani, del Settantasette bolognese, dell’enfant prodige Andrea Pazienza, Frigidaire, Ranxerox, la grafica era molto più avanti, molto più “avanguardia” rispetto alla parola scritta, che soprattutto sui giornali era molto compresa di se stessa, inamidata, legata ai suoi compiti, diciamo così, istituzionali. Il partito comunista era un luogo “troppo serio”, e troppo bisognoso di sembrarlo, perché si potesse anche solo immaginare che di lì a qualche anno proprio dentro l’Unità sarebbero nati prima ilTango di Staino (nell’85), poi Cuore (’89), aprendo per la satira italiana una lunga e fortunata stagione pop. Benni scriveva sul Manifesto, quotidiano eretico del mondo comunista prossimo alla sua definitiva diaspora.
La satira politica era stata un linguaggio di frontiera, prima di allora, più volte espulsa dalla Rai nei rari casi in cui era riuscita a fare capolino (nei decenni: Tognazzi e Vianello, Dario Fo, quasi nient’altro). Si confondeva e quasi si mimetizzava dentro il più vasto campo della “comicità”, ed era come se rimanersene ben saldi ai margini, eccentrici e al riparo dalle lusinghe del potere e del benessere, fosse la condizione per tutelare la libertà e la radicalità dello sguardo e del linguaggio. Esattamente in quei margini è nato e cresciuto Benni, “distante dal centro” fino dalla sua infanzia appenninica, silvestre e appartata; e quella giusta distanza è riuscito a mantenerla per tutta la vita, con rare e piuttosto sofferte incursioni nel pop (è stato autore di Beppe Grillo, il Grillo diDomenica in,subito dopo Antonio Ricci e subito prima di me).
Per convincerlo a scrivere su Repubblica, alla fine dei Novanta, credo che Ezio Mauro abbia dovuto faticare parecchio; e da direttore di Cuore sono riuscito a strappargli,negli anni, al massimo tre o quattro cose, in genere brevi poesie che ho sempre pensato avesse scritto non per “lavoro”, ma per amicizia. Se ne stava preferibilmente per conto suo e non per snobismo, o perché avesse un carattere ombroso (lo aveva), ma perché cercava dentro di sé, e lontano dalle molte scorciatoie che spettano a chi ha successo, la sua misura di artista.
Il suo crescente dedicarsi al teatro, e allontanarsi dai giornali, rispondeva a questo bisogno di uscirsene dai ritmi e dagli obblighi del mondo mediatico. Voleva scrivere quando urgeva a lui e quello che voleva lui, gli riusciva innaturale sentirsi vincolato alle cadenze dei media. Non fu mai, voglio dire, un giornalista, sempre e tenacemente uno scrittore, un autore teatrale, nonché un formidabile lettore in favore di pubblico: ho ancora il nitido ricordo di un suo reading di Moby Dick in Trentino, tra i monti, una ventina di anni fa, con il vento che gli scompigliava i capelli da capo indiano(sopra un profilo da capo indiano).
Il fatto che sia diventato, come scrittore, super popolare, è un piccolo grande miracolo, nonché la conferma che a volte la qualità non ha bisogno, per emergere, che di se stessa. Il suo sodalizio, anche umano, con la Feltrinelli e con Carlo Feltrinelli è stato inespugnabile, e anche se da parecchi anni Stefano non era più nelle condizioni di scrivere, non pochi dei suoi vecchi libri sono tutt’ora dei longseller, a partire dal citatissimo Bar Sport che è ormai tra i classici dell’epica popolare italiana.
Quando cominciai a scrivere di satira l’ho copiato smaccatamente. Specie nella sua modalità “fantasy”, quello strepitoso sparare balle che servono solo a inquadrare più nitidamente la realtà. Benni usava poco la caricatura e la parodia, moltissimo l’iperbole, il paradosso grottesco, i neologismi beffardi che gli servivano a mettere a nudo i meccanismi che governano il mondo. Fondamentalmente i meccanismi dell’ingiustizia sociale e dell’arroganza dei forti: Stefano era comunista e lo era nel senso più antico e profondo, non ideologico, antropologico. La disparità di potere e di censo tra gli esseri umani gli sembrava uno scandalo e soprattutto di quello scandalo si occupava quando scriveva satira.
Da ultimo, o forse prima di tutto questo: era spiritoso, genialmente spiritoso, e questo talento è stato il primo motore della sua scrittura. Il mondo è pieno di scrittori e di artisti “impegnati politicamente” che hanno ben chiara l’ingiustizia del mondo, ma un conto sono le buone intenzioni, un conto il talento. Chi ne ha di meno ricorre al moralismo, o si rifugia nell’ideologia, Benni è riuscito a usare la fantasia spiazzante, il salto logico dei grandi comici, il senso del ridicolo che manca così tragicamente ai potenti. Il potere non è spiritoso, e dev’essere proprio per questo che Stefano se ne è costantemente tenuto alla larga. Molte immagini di repertorio ce lo mostrano in teatro, quasi sempre solo come amava essere – solo con le parole. In altre lo vediamo che cammina, spettinato come solo lui poteva essere spettinato, in mezzo alla natura, lungo una spiaggia o su un sentiero nel nulla. Può darsi che negli ultimi anni la sua mente, ormai illeggibile dagli altri, lo abbia riportato in mezzo ai boschi della sua infanzia, in mezzo ai lupi che amava come se fosse appena uscito dal branco. Non è vero che non esistono i lupi parlanti.

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