Fuga dai talk show: nelle oasi di Rai&C. resiste l’Italia reale
BANDITI I FORMAT ADRENALINICI - Sveva Sagramola: “La società andrebbe rifondata, volta com’è alla prestazione, al giudizio, al successo”
DI DANIELA RANIERI
Ricomincia la stagione ansiogena e nevrotizzante dei talk-show: al noto copione – applausi erga omnes, decibel direttamente proporzionali alla significatività delle asserzioni, “io non l’ho interrotta lei non interrompa me”, iene belliciste pro-Nato, Calenda che ci spiega quanto Renzi sia inaffidabile, la Fornero alle 23:00, Cacciari che si incazza – si aggiungono i frutti della nuova egemonia di destra – fascistoni sdoganati, rimpasti di conduttori, generali che liberano il popolo dalle angherie di gay e africani, asseriti giornalisti in realtà cantori del governo, etc. Noi resistiamo come possiamo, assumendo ogni giorno un po’ di Tv calmante.
Supplisce ai tagli alla Ricerca l’ultimo baluardo di Illuminismo nel Paese: Ulisse, il piacere della scoperta, Rai1, spin-off filiale del Superquark della famiglia Angela (Piero e Alberto): qui savane, catacombe, laboratori di fisica, marmi, capitelli, mosaici, iceberg, stalattiti e stalagmiti neutralizzano manipolazioni linguistiche, razzismi, storytelling da strapazzo, complottismi, pensiero magico, emotainment, pseudoscienza, esoterismi da prime time, revisionismi storici. Resta in bocca il sapore di un mondo clemente che risponde a logiche razionali, guidato dal progresso e delle leggi di natura, in cui l’unico darwinismo ammesso è quello che libera dalla superstizione creazionista, non il darwinismo sociale neo-liberista sposato anche dalla destra degli (ex?) camerati missini. Qui il merito non è un’impostura per favorire amici e parenti stretti; qui le donne parlano di nanomolecole, Alessandro Barbero rimette a posto la Storia, i Numi non sono pastorizzati: spira nell’aria un po’ di verità.
Il servizio pubblico si riscatta da cadute servili e kitsch (“Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni è giunta…”, Tg1) anche con Geo, Rai3. In onda dal 1984, Geo è il miglior programma della televisione italiana. Se Ulisse risente ancora del fascino del merito come standard stabilito dalle élite e del progresso come inevitabile sbocco dell’umanità, Geo è laico, lirico, realista. Sveva Sagramola, una delle poche persone famose stimabili in Italia, tornando dopo la pausa estiva ha detto: “La società andrebbe rifondata, volta com’è alla prestazione, al giudizio, al successo”. Geo, dice il sito della Rai, tratta di ambiente e natura, ma in realtà parla di giustizia e felicità, di come le persone e le società cercano di vivere il meglio possibile. I suoi documentari hanno qualcosa di atemporale, ricordano la poesia dell’Intervallo di Raitre, quel magnetico “nulla a procedere” televisivo che era tecnicamente un vuoto di palinsesto, clemente e magico, e sono girati da registi sensibili (come Francesco Cordio e Olivella Foresta). Il meteorologo Filippo Thiery non fa “previsioni del tempo”, ma brevi lezioni di climatologia sul legame tra le manifestazioni attuali del clima e l’azione umana. A Geo l’Italia è fatta di paesini dell’Appennino, borghi di pietra, feudi, chiostri, dolci colline bolognesi, sciare di pietra lavica sotto l’Etna, dove vivono – altrimenti invisibili perché analogici, immuni dalla seduzione dei social – giovani pastori fuggiti dal lavoro cognitivo, casari che fanno il cacio nelle malghe, anziani di Civita Castellana, monaci buddisti, signore che studiano i pipistrelli, artigiani del ferro. Speriamo non si accorgano mai, al governo, che a Geo si parla di rapporti sociali e di produzione, agricoltura sostenibile, Sanità pubblica, Scuola, Ricerca, cambiamento climatico, diritti, giusti salari, lavoro: in definitiva di lotta di classe (lo affideranno a Nunzia De Girolamo?).
Svolgono un’azione lenitiva intensiva anche alcuni programmi di Food network, canale tematico sul cibo dove si cucina e si mangia tutto il giorno, nel complesso cimento della Tv di suscitare televisivamente (da lontano, mediante l’occhio) l’ineffabile senso del gusto raccontando la cultura culinaria dei popoli.
Tra i cuochi vip da milioni di copie e visualizzazioni (Cannavacciuolo, Benedetta Rossi) e format adrenalinici e studiatamente trash (Camionisti in trattoria), il nostro programma preferito è Ricette del convento, condotto da veri frati domenicani dalle cucine di San Martino delle Scale, vicino a Palermo. “Un viaggio tra i sapori antichi che profuma di spiritualità”, recita il claim, e sembra davvero, in quella mezz’ora, che il mondo si riallinei a un gradiente di decenza e gentilezza. Ricette del convento è l’anti TikTok: lentezze tecniche per estenuanti tagli di ortaggi; pentole vecchie, spaiate dai coperchi; verbi intransitivi col complemento oggetto (“esco i broccoli dall’olio”); un grande camino tra Verga e il romanzo russo. Il frate giovane, don Salvatore, dà del lei al più anziano, Don Anselmo, e si ringraziano sempre a vicenda; bravissimi a friggere melanzane, che chiamano “melenzane” (la “mela insana” nel Medioevo, spiegano, immangiabile cruda), fanno il biancomangiare catanese e il pollo alla birra, i broccoli fritti e la caponatina,
e intanto raccontano la storia sociale dei cibi, finché l’assaggiatore, un corista gregoriano, gusta il frutto della terra coltivata, che sarà consumato dai confratelli nel refettorio foderato di legno, stupendo. Simile è La cucina delle Monache, dal monastero benedettino S. Anna, a Bastia Umbra, “dove si coltiva la mente, l’anima, la terra e la cucina”. Quattro suore – una ex cestista (“ero destinata alla nazionale di pallacanestro, ma ho scelto di essere un’atleta del Signore”), un architetto, una napoletana con 4 lauree e una giovanissima psicologa – collaborano, fanno l’orto, cucinano e mangiano con cuore lieto, come prescrive il Siracide.
Dotato di una sua qualità balsamica è Cucina economica: da una casa in stile parigino molto cozy, una signora raffinata parla moltissimo e cucina risparmiando, stante un Isee presumibilmente alto, da zona Brera/Bosco Verticale di Milano, stile personaggio di Laura Morante, molto decorosa in senso borghese, forse con figli educatissimi e marito in viaggio di lavoro. Un lieve jazz impuntura i passaggi da un tegame all’altro. Si capisce che la chef, al secolo Csaba dalla Zorza, usa ingredienti economici non perché non abbia i soldi, ma perché è coscienziosa, per non dire un po’ tirata (forse più che Cucina economica è Cucina taccagna).
Ipnotica anche la suddetta Benedetta Rossi, che ha esportato in Tv i suoi seguitissimi video su YouTube di ricette caserecce, girati dal marito nella cucina dell’immensa tenuta con casale nelle Marche (se la signora di Cucina economica è ricca di famiglia, Benedetta rappresenta gli arricchiti, il suo è il lusso di chi ce l’ha fatta, in questo nostro strano Paese dove si diventa famosi con poco o si vive nell’ombra per una vita intera).
Insomma, il mondo, la politica e la società possono essere compresi anche con mezzi alternativi ai talk show (lo diciamo noi, da osservatori e fruitori compulsivi; non si azzardino a dirlo i politici, garruli e fatui nel saltare da uno studio televisivo all’altro, pronti a sparare contro i superstiti programmi d’inchiesta come Report e Presa diretta perché mal sopportano chi li controlla).
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