Il furbo e la salsicciaia: il governo di Aristofane
DI DANIELA RANIERI
Sentite questa storia: due servi rivelano al loro padrone, il signor Demo, che un terzo servo, Paflagone, lo inganna col suo atteggiamento ipocrita e adulatorio, raccontandogli frottole e incutendogli paure infondate per soggiogarlo; un oracolo, peraltro, ha annunciato che Paflagone verrà sostituito da uno peggiore di lui: il salsicciaio. Quindi Paflagone e il salsicciaio si scontrano in un feroce duello nell’assemblea del popolo, la ecclesia, a colpi di urla, insulti, smargiassate, ricette culinarie (!), mentre il coro dei cavalieri sostiene il salsicciaio contro Paflagone, appoggiato dal popolino (è una specie di talk show). Vincerà il salsicciaio, invocando, come fossero divinità, “Imposture, Imbrogli, Astuzie, Stupidità, Furfanterie e Piazza dove fui allevato da ragazzo” perché gli diano “coraggio, lingua pronta e voce sfacciata”, e Paflagone piagnucolerà di essere stato battuto con le sue stesse armi, la volgarità e la mancanza di ritegno. È la trama de I cavalieri, commedia di Aristofane del 424 a. C. Nella figura di Paflagone, Aristofane voleva colpire Cleone, politico e condottiero ateniese, capo del partito popolare radicale, salito al potere dopo Pericle e fautore della guerra contro Sparta; Demo è la personificazione del popolo, che si è fatto ingannare da un demagogo guerrafondaio, dotato di una parlantina micidiale con cui “adula, imbroglia, blandisce a forza di pinzillacchere”; il salsicciaio è un underdog cresciuto per strada che non sa niente di politica, sa solo fare salsicce e strillare.
Siccome i classici sono tali perché eternano comportamenti e dinamiche del potere connaturate alle società umane, questa commedia è sempre attuale: a impersonarla oggi abbiamo il popolo frescone, il servo furbo Salvini evaporato dentro un mojito e Meloni, la salsicciaia della Garbatella. La differenza è che oggi i due servi-demagoghi si sono (temporaneamente) alleati, perché non c’è limite al cinismo, e che tra i due il più becero è senza dubbio Salvini, anche se Meloni, che è più intelligente di lui (non che ci volesse tanto), è per ciò anche più pericolosa per la democrazia. Salvini per anni ha abbindolato il popolo incutendogli paure (l’invasione, gli immigrati spacciatori e stupratori, i centri sociali), somministrandogli spacconate via social (“RUSPA” sui campi rom, “prima galera, poi castrazione chimica, poi espulsione!”, “atti concreti e PUGNO DI FERRO”), crapula gastronomica (“Lumache coi porri. Polenta e baccalà. Tortellini freschi emiliani e ragù con salsiccia”), sentimentalismo da strapazzo (“Auguri cucciola!”), il tutto mentre emergeva che il suo partito ha rubato al popolo 49 milioni di euro.
Meloni lo ha scalzato usando le sue stesse armi e raffinandole; così l’invasione è diventata sostituzione etnica, che non è affatto una gaffe da ignorante del cognato ministro (vedi Tesi di Trieste, manifesto ideologico di FdI); l’indipendenza della terra fantasy detta Padania è diventata Autonomia differenziata; il “chiedo al popolo pieni poteri” è diventato il premierato e la riforma costituzionale.
Salvini, da ministro dell’Interno e papà, come deterrente alle partenze teneva i migranti in centinaia dentro barche anguste sotto la canicola; Meloni, da premier e mamma, li rimprovera perché si mettono in viaggio (“Non conoscete i rischi della traversata?”, ai parenti degli annegati a Cutro) e minaccia di chiuderli per 18 mesi in carceri sbarazzinamente dette “Centri di permanenza e rimpatrio” per poi rispedirli da dove sono venuti, e in visita a Addis Adeba abbraccia bambini neri (abbracciamoli a casa loro).
Ora, l’emergenza migranti è da decenni un ottimo diversivo di massa (l’hanno capito pure i cosiddetti governatori), utile a distogliere l’attenzione del popolo dal fatto che i due demagoghi sovranisti, una volta al governo, in politica economica sono una riedizione di Draghi e Monti con un surplus di violenza verso i poveri, e in politica estera e nella Difesa sono servi degli Usa e proni ai voleri e alle richieste di spesa in armi della Nato.
Nella commedia di Aristofane, Demo, il popolo, alla fine si ribella, pronto a riprendersi il potere: “Guardate se non sono capace di raggirarli, questi che pensano di sapere tutto e di imbrogliarmi. Io li sorveglio e fingo di non accorgermi che rubano; poi grazie all’urna del voto li costringo a vomitare tutto quello che hanno rubato”, quindi c’è qualche speranza. Quel che è certo è che Paflagone per avere la rivincita col salsicciaio deve far credere a Demo che stava meglio quando c’era lui (porti chiusi!), e il salsicciaio deve rincorrerlo sul suo terreno sparandole ancora più grosse (nuovo decreto Sicurezza! Blocco navale!), fermo restando quel che Aristofane ha scolpito per i millenni, cioè che “mettersi alla testa del popolo non è più cosa da uomo colto e perbene, ma da ignoranti e infami”.
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