In Europa il pd vota per le armi e dimostra un’eterna pavidità
DI TOMASO MONTANARI
Ieri mattina al Parlamento europeo il Pd di Elly Schlein ha votato a favore (con le lodevoli eccezioni di Pietro Bartolo e Massimiliano Smeriglio) dell’Asap (Act in support of ammunition production) che aumenta di oltre mezzo miliardo di euro i fondi destinati a sostenere la produzione di armi per l’Ucraina, e soprattutto permette agli Stati membri che lo vorranno di usare i fondi del Pnrr a questo scopo. Conviene soffermarsi a valutare le implicazioni di un simile cambio di destinazione del Recovery Plan: qualunque cosa si pensi della guerra in Ucraina, e qualunque sia il giudizio sull’escalation del sostegno militare occidentale a Kiev, non sfuggirà la distanza tra un’Europa che pensa di rifondarsi sulla coesione sociale, la sostenibilità, la sanità pubblica, e una che invece decida di farlo sulla produzione, commercio e uso delle armi. E infatti la differenza non sfugge al Pd, che il 20 giugno scorso fa approvare in Parlamento una mozione che impegna il governo italiano a non usare i fondi Pnrr per le armi. Paradossalmente, tuttavia, è stato proprio questo “no” italiano a permettere alla segretaria Schlein di indirizzare i suoi europarlamentari a un “sì” europeo, in armonia con il compatto voto positivo del gruppo socialista: “Sì del Pd a Strasburgo all’uso del Recovery per le armi: ‘Tanto in Italia abbiamo votato no’” (così, ieri, Repubblica). Il risultato è un risibile equilibrismo da politica politicata, che lascia stupefatti e indignati coloro che ancora credono a una politica fondata su un progetto di società e su principi etici: proprio il tipo di cittadine e cittadini che, con un clamoroso voto rifondativo, hanno portato Elly Schlein alla guida del partito. E qui non si tratta della posizione della segretaria sulla guerra in Ucraina (che io, per esempio, non condivido per nulla), ma della sua idea di Europa e, appunto, della sua idea di politica. Costerebbe fatica opporsi alla scelta comune (e suicida) del Partito socialista europeo? Certo, ma l’unità del gruppo socialista, in un voto come questo, non è il fine ultimo: il fine è la costruzione di una vera politica estera europea comune, che sappia costruire una dialettica critica con quella statunitense. Invece, dire che in Europa ciascuno Stato farà quello che gli pare con i fondi del Pnrr e la guerra, e che questo non ci riguarda perché noi tanto abbiamo già deciso, significa dire semplicemente che l’Unione non esiste, che permettiamo che si separi, su una questione fatale, come una maionese impazzita: e allora almeno, lasciamo in pace Ventotene, visto che di fronte a una simile liquefazione dell’idea stessa di Europa, Rossi, Spinelli e Colorni si rivoltano nelle tombe.
Come è noto, Giulio Andreotti sosteneva che tirare a campare fosse comunque meglio che tirare le cuoia: ma nella situazione attuale del Pd, le due soluzioni rischiano di coincidere. Di fronte a questa destra orribile, e al suo sempre più evidente piegare la cosa pubblica agli interessi di parte, occorre costruire una alternativa alta, che sappia muoversi su un livello sideralmente diverso. Personalmente, vorrei vedere Pd e Movimento 5 Stelle incalzarsi a vicenda – in una gara virtuosa che non miri a rubarsi elettori, ma a riportare al voto i milioni di persone che non credono più alla politica – nella definizione di un progetto di Italia e d’Europa radicalmente alternativo alla visione da incubo che il governo Meloni coltiva e propala. Perché questo avvenga, Elly Schlein deve decidersi ad attuare il mandato di radicale cambiamento ricevuto da chi l’ha votata da fuori del Pd, perché cambiasse il Pd: e se questo comporterà altri abbandoni da parte di coloro che vivono il partito come una forza di centrodestra, be’, tanto meglio. Perché questo è il momento delle idee e delle scelte coraggiose, non delle pavide acrobazie e dei giochetti al ribasso.
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