Qui c'è tutto, è la foto che più di ogni altra racchiude l'essenza dell'umanità, la "valle di lacrime" cristiana, la solitudine, la pochezza della nostra civiltà, il crepuscolo della speranza, il contrasto tra chi pretende e gode della belligeranza tra i popoli e lo scempio per l'attività del pianeta che è vivo, il silenzio davanti alla natura, l'amore che non conosce ostacoli, l'atrocità del dolore, il desiderio di lottare anche contro l'ineluttabilità. Guardate lo sguardo di Mesut Ancer, la sua fierezza, la compostezza, la mano che avvolge quella di sua figlia Irmak morta sotto le macerie, la richiesta di fare una foto al fotografo che s'aggirava da quelle parti.
Mesut siamo noi tutti, anche quelli che credono di non finire mai come Mesut, sicuri e baldanzosi grazie al dorato conto in banca, ai possedimenti, al godereccio che gli avvolge rendendoli certi della sicurezza, dell'agio, della serenità.
Siamo tutti Mesut, le nostre mani stringono Irmak, sempre, in ogni luogo; siamo con Mesut, disperiamo per Irmak, piangiamo perché fa tanto bene piangere per Irmak, spirata sotto alle macerie, lo scatto ha immortalato il compendio del mondo, del nostro mondo, afflitto da crolli naturali e per mano di altri simili, piegato dalle catastrofi che incombono e derivano dalla vita del mondo, e da quelle confezionate da aguzzini voraci e posseduti dalla bestialità della violenza.
Siamo Mesut che attende impassibile e regale che la sorte guardi in quelle lande martoriate, come le tante sparse ovunque, per constatarsi bieca ed astiosa.
Mesut non se ne andrà, la mano tende ad assaporarne l'eternità, per Irmak che da quella mano riceve per induzione la gemma più bella, indistruttibile, solare, insostituibile: l'amore.
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