giovedì 23 febbraio 2023

Pure Ella!

 

La lesa zelenskità di B. si chiama democrazia
DI DANIELA RANIERI
Se i nostri giornali non fossero così ciecamente invaghiti di Zelensky (“ex comico rivelatosi eroe e condottiero”, come ripetono da un anno), sarebbe più chiaro cosa è successo a Kiev: il presidente di un Paese estero, non Ue e non Nato, redarguisce duramente e con sarcasmo un parlamentare di un altro Paese (che gli sta mandando soldi e armi) per come la pensa in merito alle cause della guerra, accusandolo di parlare così perché non ha “la casa bombardata dai missili, i carri armati nel giardino e i parenti ammazzati” e “tutto questo grazie all’amore fraterno della Russia”.
Che Berlusconi sia amico dell’autocrate Putin è vero (lo scriviamo da anni, anche quando i giornali progressisti pubblicavano per soldi le gazzette della propaganda putiniana e ciò era ritenuto molto chic), ma non bisogna per forza essersi scambiati regali con Putin per pensare, come Berlusconi, che l’Ucraina “non doveva attaccare il Donbass”.
Ci sono analisti autorevolissimi che collegano l’aggressione di Putin di un anno fa a ciò che è successo nei territori filorussi dal 2014, alle uccisioni di civili da parte delle milizie filo-naziste ucraine, all’espansione della Nato a est (un nome su tutti, Noam Chomsky, filosofo e linguista statunitense di padre ucraino: “Gli osservatori dell’Osce avevano segnalato un forte aumento della violenza nella regione del Donbass, che molti, non solo la Russia, denunciano essere in gran parte di matrice ucraina”).
Meloni ha rassicurato Zelensky che l’Italia “non tentenna” sul sostegno militare a Kiev, ciò che solo dovrebbe interessargli; ma Zelensky lamenta proprio il dissenso nell’opinione pubblica: “Diversi leader – ha detto – hanno diritto di pensiero (bontà sua, ndr). Il vero problema è l’approccio della società italiana che a quel leader ha dato un mandato”. Già, il problema della democrazia in Paesi dove non vige la legge marziale. E se per ipotesi altri parlamentari la pensassero come Berlusconi? E se come lui la pensassero gli italiani, che in maggioranza sono già contrari all’invio incessante di armi?
Nel suo Paese Zelensky ha risolto il problema alla radice, mettendo fuorilegge gli 11 partiti d’opposizione (i cui capi e militanti finiscono dispersi), ma dovrebbe concedere ai leader dei Paesi europei di non essere per forza filo-Ucraina e filo-Nato, se non altro perché rappresentano cittadini con idee diverse. O vuole vietarlo? Non bisogna per forza essere sotto le bombe per dissentire circa il modo in cui il governo del proprio Paese (ignorando il Parlamento) decide di (non) applicare la Costituzione, che stabilisce che l’Italia ripudia la guerra. E il fatto che Zelensky sia sotto le bombe per colpa di Putin non lo rende ipso facto la bocca della verità (basterebbe a provarlo il fatto che a novembre ha cercato di far passare come russo il missile caduto in Polonia, pur sapendo che era ucraino e chiedendo un intervento Nato).
È facile derubricare le uscite di Berlusconi a deliri senili (i giornali esultano per la tempra maschia del soldato-statista: “Al presidente ucraino non è rimasto che prenderlo a calci”, Rep). Ma quando il Papa parlò della guerra come conseguenza dell’“abbaiare della Nato alle porte della Russia” e definì “pazzi” coloro che votarono per il riarmo, i giornali cominciarono a ignorare le sue esternazioni. Galli della Loggia su Libero definì la posizione del Papa “filo-russa” tout court. E tutti stettero zitti quando Zelensky, per mezzo del suo ambasciatore presso la Santa Sede, cercò di dissuadere il Vaticano dal far sfilare insieme alla Via Crucis una donna russa e una ucraina; o quando intimò all’Europa di rinunciare al gas russo che però l’Ucraina continuava ad acquistare, lucrando sui diritti di transito del gasdotto; o quando ordinava che artisti, atleti e intellettuali russi venissero esclusi da tutti i consessi e le kermesse occidentali, alle quali lui invece non disdegna di intervenire con spiccata attitudine per lo storytelling epico.
Per l’establishment occidentale Zelensky è Cassazione mondiale. La patriota Meloni, che ha preso i voti promettendo l’autonomia dalla “tirannia acefala di un’anonima sovrastruttura burocratica incapace di rappresentare le esigenze degli Stati membri e le istanze dei loro cittadini” (Tesi di Trieste, manifesto di FdI), evidentemente ritiene che gli interessi del presidente ucraino e degli Usa coincidano con quelli del popolo italiano. Tacendo accanto a Zelensky senza difendere la libertà di pensiero del suo alleato di governo, Meloni ha contraddetto la sua postura sovranista e anti-establishment. Per sua fortuna, i giornali mainstream sono tutti con lei e contro Berlusconi, non perché sia Berlusconi (campione di anti-democrazia), ma perché reo di lesa zelenskità.
Meloni ha detto che sosterrà Zelensky “fino alla fine”. Non proprio una prospettiva rassicurante, ma che forse resterà l’unica possibile, con tutte le armi che gli abbiamo mandato.

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